Non si è dato il giusto rilievo alle gravi perdite causate dall’interruzione della missione più nobile dell’Università, che mira a incentivare il mescolamento tra le diversità ( la cosiddetta “mixité”) e il progressivo avvicinamento sociale. L’improvvisa chiusura delle strutture, delle aule, dei laboratori di ricerca, delle biblioteche, ha di fatto annullato la potente e collaudata capacità dell’Università di innescare i processi di innovazione e cambiamento sociale. Alla nuova università non basta il digitale, va connessa all’innovazione e al lavoro

L’Università ha sempre avuto un ruolo centrale nel processo di sviluppo dei popoli, alimentando la diffusione dei saperi, rafforzando le fondamenta del pensiero critico, indirizzando il cammino del progresso civile, sociale ed economico verso traguardi sempre più ambiziosi. Grazie all’istruzione universitaria si è potuto combattere la profonda ingiustizia del “distanziamento sociale”, intesa come manifestazione anche esteriore delle disuguaglianze, creando concrete opportunità per un funzionamento più equilibrato e dinamico della mobilità sociale.

Si parla molto, a giusta ragione, di grandi sfide del futuro, di innovazione tecnologica, di “next generation”, ma non si presta la stessa attenzione al valore dell’intelligenza attivata dalla integrazione sociale.

Si è più volte argomentato, in questi mesi di emergenza pandemica, del prezioso servizio offerto dalle piattaforme digitali, che hanno permesso di assicurare l’erogazione dei corsi, degli esami, delle sedute di laurea. Da più parti sono state evidenziate le possibili insidie della disumanizzazione dell’insegnamento, ma l’attenzione veniva poi catturata dagli vantaggi della didattica telematica, dalla maggiore flessibilità ed efficienza operativa, nonché dall’opportunità di arricchire la partecipazione alle attività didattiche con il contributo seminariale di docenti ed esperti “esterni”, sovente limitata dai costi della logistica.

Ci sono state, invero, anche critiche per i disagi e le discriminazioni create dall’improvviso “switching” in modalità digitale della formazione, per gli studenti meno dotati sul piano della disponibilità di adeguate tecnologie, ovvero di spazi e condizioni di lavoro domestico idonei. Non si è dato, però, il giusto rilievo alle gravi perdite causate dall’interruzione dei meccanismi di interazione intellettuale generati nei luoghi in cui prende corpo la missione più nobile dell’Università, che mira a incentivare il mescolamento tra le diversità ( la cosiddetta “mixité”) e il progressivo avvicinamento sociale. L’improvvisa chiusura per lunghi mesi delle strutture universitarie, delle aule didattiche, dei laboratori di ricerca, delle biblioteche, degli spazi ricreativi, ha di fatto annullato la potente e collaudata capacità dell’Università di innescare i processi di innovazione e cambiamento sociale.

Non si può negare, infatti, che il superamento delle resistenze derivanti dalle componenti più elitarie dell’Accademia, abbia favorito e incentivato negli anni la non semplice integrazione tra studenti di estrazione sociale differente, tra professori con background scientifico diversificato, tra studenti e professori; condizioni indispensabili per sperimentare metodi didattici più evoluti, modelli di ricerca meno autoreferenziali, strumenti di gestione della macchina amministrativa universitaria e dei relativi servizi più avanzati e performanti.

In sintesi, in questo modo si rafforza la “terza missione” dell’Università, che favorisce il processo di contaminazione positiva tra universitari ( professori, ricercatori e studenti) e collettività, tra cultura dell’innovazione e del trasferimento tecnologico, indispensabile per generare sviluppo civile ed economico armonico e coesione sociale.

Ma le nuove frontiere dell’Università moderna e relazionale chiedono capacità spiccate e diffuse nell’arte di istruire empaticamente appassionando ed entusiasmando gli studenti, ispirandoli e incoraggiandoli a intraprendere percorsi innovativi, a sfidare le difficoltà senza timori, ad assumere responsabilità decisionali, a connettersi anche emotivamente, a sperimentare ed esplorare con energia le meraviglie della diversità, imparando ad affrontare i problemi con le certezze della tecnica, ma anche senza necessariamente sapere come risolverli, coltivando l’attitudine alla elaborazione di soluzioni creative.

L’Università della connessione, solo in parte digitale, non può prescindere naturalmente dalla esaltazione del talento dei propri ricercatori che riescono a produrre innovazioni visionarie, talvolta talmente rivoluzionarie da sembrare “inutili”, ma che l’attivazione di idonei meccanismi di valorizzazione potrebbe accompagnare con maggiore velocità ed efficacia verso destinazioni invece molto utili per il progresso sociale. Strutture specializzate, ispirate alle esperienze più avanzate, concepite per “tradurre” ed interpretare la complessità dei linguaggi tecnici, nell’intento di riuscire a collegare in modo dinamico le esigenze, i valori, gli scopi, attivando proficue sinergie con fare intuitivo, relazionale, pragmatico e flessibile.

Naturalmente il futuro del nostro Paese, non può prescindere dall’energia e dalle competenze delle nuove generazioni, dalla creatività delle menti più brillanti e libere, dalla necessaria spregiudicatezza con cui solo i più giovani possono sfidare la complessità tecnica e politica dei cambiamenti epocali richiesti dalla transizione “green” dei modelli di sviluppo economico. L’Università dell’integrazione e del progresso sociale non può non spendersi, con senso di responsabilità e spirito di servizio, per creare e sviluppare iniziative istituzionali di speciale connessione con il mercato del lavoro, avvantaggiate dalla particolare conoscenza dei giovani, qualità preziose per imprimere una robusta accelerazione al processo di attivazione del talento troppo al lungo sprecato.

* ordinario di Economia e Gestione delle Imprese, Università Federico II di Napoli