«Non ci voleva. Il caso Palamara è uno di quei colpi che inducono rassegnazione. Se c’è poco allarme per la paralisi dei Tribunali, un po’, anzi non poco, dipende anche dalla nuova valanga di intercettazioni sul Csm». Michele Ainis è un costituzionalista e ha una sensibilità quasi pannelliana. Ha un’idea sacra delle istituzioni e nello stesso tempo spirito sufficientemente laico per additarne il declino senza perifrasi. Così, di fronte al silenzio del Paese sui tribunali ancora mezzi chiusi – silenzio rotto solo dagli appelli dell’avvocatura – il professore dell’università Roma 3 ed editorialista di Repubblica intravede il senso diffuso della liberazione da una malattia incurabile.

Cioè, professor Ainis, per gli italiani la giustizia non è curabile?

Esiste una disillusione forte, molto forte. Lei si immagini l’effetto delle intercettazioni su Palamara, la seconda ondata come sappiamo. Arrivano in un momento in cui l’attenzione, l’attesa dei cittadini è rivolta ad altro, all’epidemia, e anche ai limiti che il sistema sanitario ha scontato per i tanti, troppi tagli, i 37 miliardi di tagli degli ultimi anni, senza i quali forse nelle fasi più acute ce la saremmo cavata meglio. Ora questa è la priorità assoluta, giusto?

Questo è fuori discussione.

Ebbene, sa cosa succede nella testa di una persona, di fronte alle udienze quasi del tutto abolite? Scatta la reazione rassegnata di chi sa di un parente malato da tempo che non ce l’ha fatta. Si ha quasi un senso di liberazione, dovuto alla pietà. Ebbene, anche di fronte alla giustizia paralizzata dal covid è come se l’italiano medio avesse pensato “era già ridotta male, ha avuto il colpo di grazia, forse è meglio così”.

Agghiacciante.

Io ho l’impressione che nelle scelte del governo ci sia stato un riflesso di una simile idea. L’indignazione per l’inadeguatezza delle strutture sanitarie ha indotto la politica a cambiare strada. Di fronte al minore allarme suscitato nel Paese dai tribunali chiusi, si è pensato di poter mettere la questione da parte.

Però mancata tutela dei diritti vuol dire impossibilità di recuperare un credito per chi ne aveva urgente bisogno, o veder compromessa la condizione delle persone più vulnerabili, i minori innanzitutto.

Certo, è evidente. Ma vede, noi siamo un popolo irriducibilmente litigioso. E la tendenza sembra essersi imposta nel pieno della fase 1 così come ancora si impone adesso. Intanto, abbiamo sopportato forti limitazioni della libertà, inevitabili, ma sarebbe stato legittimo attendersi una altrettanto forte riscoperta del valore della libertà. Piero Calamandrei diceva che la libertà è come l’aria, ti accorgi quanto è importante solo se ti manca. Nel caso dell’Italia invece sembra che i contrasti, per esempio, fra Stato centrale e Regioni siano diventati più importanti di tutto il resto. I protagonisti della scena pubblica sono rimasti assai più impigliati nelle liti che animati dall’ansia di apprezzare la ritrovata libertà. A questo aggiungerei il contributo non proprio positivo, rispetto al valore del diritto, offerto dalla legislazione complicatissima delle ultime settimane, avvitata attorno ai dpcm. Centinaia di pagine, spesso contraddittorie, e spesso contraddette dalle ordinanze regionali. Ecco, dinanzi a tutto questo, a molti italiani il diritto è apparso come uno strumento inutile se non dannoso.

La sfiducia nella giustizia dipende anche dal fatto che i magistrati piacciono solo se emettono sentenze dure? Qualche decisione “garantista”, come la sentenza sulla strage del bus precipitato dalla A16, ha reso i magistrati impopolari?

Un’altra caratteristica italica è l’umore ondivago. Riguarda molti campi. A proposito delle regioni: si passa dal centralismo al federalismo in un niente. Durante Mani pulite eravamo giustizialisti. Ci si è spostati un po’ verso il garantismo nel ventennio berlusconiano, o almeno lo ha fatto la parte del Paese che tifava per Berlusconi. Adesso mi pare prevalga di nuovo un sentimento manettaro, e una delle cartine di tornasole più recenti è nella vicenda carceri.

Ha trovato insopportabile la rivolta contro i giudici di sorveglianza?

Mi è sembrato non si sia vista alcuna sensibilità per la questione del sovraffollamento, che certo non è recente ma che di fronte ai rischi legati al covid avrebbe dovuto suscitare qualche preoccupazione in più. E invece ci si è indignati davanti ai 400 detenuti per reati di mafia andati ai domiciliari, senza dare alcun peso a quel dato piccolo piccolo, e cioè che su quei circa 400, i detenuti usciti dal 41 bis erano 3 in tutto. Più che fiducia nella giustizia, c’è aspettativa per una giustizia solo punitiva.

Il caso Palamara è un colpo mortale alla credibilità delle toghe?

Sarebbe così se avessimo memoria... Non ne abbiamo molta, dimentichiamo tutto e subito, ammesso che anche solo nell’immediato qualcosa si innesti davvero nella percezione. Però, certo, la disillusione di cui ho detto all’inizio è stata aggravata dalle nuove intercettazioni.

E come si può rimettere in piedi un sistema così indebolito?

Con una riforma radicale del Csm. Che prenda le mosse da una constatazione: di micro interventi ce ne sono stati decine, in materia, ma non è cambiato mai un tubo.

Che intende per riforma radicale?

Anche il ricorso al sorteggio. Credo che la chiave sia la composizione del Consiglio, eevitare che sia monopolizzata dalle correnti. E sorteggio non significa portare a Palazzo dei Marescialli chiunque.

Limiterebbe il novero dei giudici e pm sorteggiabili?

Sì, probabilmente andrebbero considerati gli standard di laboriosità, la quantità delle sentenze non tanto in termini assoluti quanto nella percentuale di decisioni ribaltate in appello. Lo so, si tratta di una strada impegnativa, ma cito innanzitutto Voltaire, secondo il quale prima di fare nuove leggi bisogna bruciare quelle che già ci sono. D’altra parte, i francesi sono il popolo delle rivoluzioni.

Proprio le correnti chiedono di riabilitare il criterio dell’anzianità nelle nomine, il meno arbitrario di tutti.

Pensare di sbarazzarsi delle valutazioni è una pia illusione, sia quando si tratta di studenti sia se dobbiamo scegliere chi nominare presidente di un Tribunale o capo di una Procura. Non è che possiamo affidarci a un criterio fisso, se no tanto vale dire che gli incarichi vanno solo ai pm biondi e alle magistrate con una determinata acconciatura... Deve continuare a esserci una discrezionalità nelle scelte del Consiglio superiore. Discrezionalità, non arbitrio del sovrano, ovvio. Ma stavolta ci soccorre Montesquieu: con il sorteggio, diceva, tutti acquisiscono il diritto di servire la patria. Credo sia giusto dare a tutti il diritto potenziale di diventare componenti del Csm. Il sorteggio è la garanzia della massima eguaglianza.