Il 28° anniversario dell’uccisione di Giovanni Falcone e della sua scorta è stato celebrato senza manifestazioni esterne con scarse e contestate trasmissioni televisive e qualche articolo sulla stampa più avveduta.

In una trasmissione di Rai 1 il procuratore della Repubblica di Palmi, Ottavio Sferlazza, ha constatato che le modalità delle indagini giudiziarie sono cambiate in questi lunghi anni, ma il rigore del metodo investigativo di Falcone resta un punto di riferimento insuperabile perché legato strettamente alla ricerca della prova, come base del processo.

La preoccupazione di Falcone infatti era che la lotta alla mafia venisse condotta con valutazioni politiche unilaterali o soltanto ideologiche. Falcone diceva che il pericolo “dopo tanti sforzi spesi per far conoscere i connotati dell’organizzazione mafiosa, è che si finisse per mescolare nel calderone di Cosa Nostra tutto ciò che può assomigliargli: è il modo in cui, se un pentito rivela che un candidato è stata aiutato dalla mafia per interessamento di un altro esponente del suo partito, che invece risulterebbe suo avversario, la rivelazione batte la logica e si va avanti lo stesso“. E’ esattamente quello che è successo in questi anni in particolare a tanti imputati politici e non politici vittime di pregiudizi ideologici o più banalmente di un accanimento giudiziario alimentato da un populismo penale punitivo. E aggiungo che Falcone aveva un’altra preoccupazione che i processi alla mafia e alle organizzazioni criminali determinassero una prevalenza della giurisprudenza sulla legge: cosa che si è puntualmente verificata. Falcone, immaginava una rilevanza del concorso esterno all’organizzazione mafiosa, ma “come passaggio di un processo nel quale si contestavano reati concreti di attività mafiose, un processo dunque tutto costruito, appunto, sul culto della prova”, e quindi per lui “il concorso era un corollario, non un presupposto del processo”. Posso dire che non gli sarebbe mai passato per la testa di arrivare a una tipizzazione penale autonoma del concorso esterno e non avrebbe mai incardinato un processo su questa unica ipotesi di reato!: proprio per questo ha sempre smentito l’esistenza del “terzo livello” sul quale la procura di Palermo ha fondato i processi di Andreotti, Mannino, Contrada e di tanti altri, dove non si è accertato il fatto ma si è andati alla ricerca del fatto.

Una commemorazione corretta di Falcone avrebbe dovuto metter in risalto la profonda differenza, come ha sottolineato Sferlazza tra il suo metodo di indagini processuale e il metodo seguito in questi anni. Il processo penale supera il “fatto“ da confermare attraverso la prova e diventa un processo etico che tende a colpire la mafia, la corruzione e la devianza in genere, al di là dei fatti concreti e appunto delle prove. Ormai anche nelle requisitorie o nelle sentenze è valsa l’abitudine di fare valutazioni non riferite all’indagato o all’imputato ma al “sistema” delle amministrazioni e della politica per cui la condanna è alla corruzione, alla devianza, e l’attività giurisdizionale è finalizzata, a far vincere il bene sul male! Falcone riteneva che un pregiudizio politico nelle indagini sulla mafia avrebbe incrinato l’indipendenza della magistratura per accentuare la sua “autonomia” e la sua “separatezza” e avrebbe avuto conseguenze sulla divisione dei poteri.

La conseguenza inevitabile è stata che l’azione penale ha perduto il rigore giuridico e si è affidata al consenso del popolo e quindi al dilagare del giustizialismo alimentato dalla propaganda e dalla stampa Il contatto diretto tra alcuni magistrati e l’opinione pubblica è infatti enfatizzato oltre misura dalla stampa e rischia di modificare profondamente il senso di giustizia nella nostra società, ricercato in piazza, fuori dalla mediazione della norma.

Il grido “vogliamo giustizia” che si ripete ricorrentemente anche nelle aule dei tribunali è il contrario della richiesta di applicare la legge e rivela una richiesta irrazionale di punizione, di vendetta di una comunità civile priva di solidarietà.

Siamo in presenza di un diritto penale totale, come è stato argomentato, che elimina l’identificazione tra diritto penale e legge.

Questo è il ricordo sincero e lineare di un servitore dello Stato che non aveva pregiudizi né ideologici nè culturali ed era preoccupato della deformazione dell’ordine giudiziario non più garanzia istituzionale.

Niente di tutto questo è stato detto nelle varie commemorazioni, ma in particolare la trasmissione televisiva “Atlantide” di “La 7” che si è occupata dell’attentato subito da Falcone e della presunta trattativa tra la mafia e lo stato, ha messo insieme sonore bugie senza fondamento, fatti completamente inventati e ingiurie al partito della DC che Falcone ha riconosciuto in tutte le sedi come l’unica forza politica in Sicilia che ha collaborato sul piano istituzionale e organizzativo e ha reso possibile il maxi processo, in particolare per l’opera dell’on. Calogero Mannino.

È scandaloso che dopo 28 anni, essendo nota a tutti la storia di Falcone e della DC, si pretenda di utilizzare la propaganda televisiva per insultare quel partito come negli anni del comunismo. Pensavamo che la DC non avesse più bisogno di difendere il suo passato e la sua storia e che fossimo al riparo dalle falsificazioni che tenevano in vita il comunismo e i comunisti , anche perché, proprio in materia di giustizia le affermazioni e le dichiarazioni di Falcone facevano riferimento alla DC come partito baluardo contro la mafia. Posso aggiungere un ricordo personale: quando per la decorrenza dei termini di custodia cautelare furono liberati alcuni pericolosi boss, il governo Andreotti nel 1989 fece un decreto legge per raddoppiare quei termini e Falcone venne da me come Presidente della commissione giustizia della Camera per spiegarmi il grande significato che quel decreto aveva per la lotta alla mafia. Le riserve sul piano costituzionale, che pure c’erano, le superammo per un messaggio chiaro dello Stato alla società civile. Il gruppo comunista non si fece convincere!: altro che attribuire alla DC tentativi per impedire le condanne del maxi processo. Come si può negare tutto questo?!

Lo scudo crociato deve tutelare in tutte le sedi la sua “ragione sociale” che è il rispetto della persona e della verità che si staglia in maniera solenne rispetto al populismo e alle miserie attuali.

Sferlazza dunque ha individuato la ragione vera per la quale Falcone ha segnato un punto di svolta nella magistratura, e al tempo stesso la ragione per la quale è stato osteggiato fortemente da tutta la magistratura anche la più aperta culturalmente, dal CSM e dal PCI dell’epoca. Tutti poi il giorno dopo l’assassinio lo hanno osannato!!

Falcone fu isolato e teorizzò che la nuova strategia giudiziaria per condannare la mafia doveva far riferimento ad una direzione nazionale antimafia per la quale fu scelto altro magistrato!, ma il Ministro Martelli con il consenso della DC gli affidò la direzione Generale degli affari penali per dargli un ruolo di indirizzo in materia.

La considerazione finale è questa: nel nostro paese gli uomini che possono determinare davvero un cambiamento sono sempre osteggiati da vivi e poi di conseguenza santificati da morti!