La sterzata europea, che potrebbe diventare davvero una svolta, è merito di Angela Merkel e di Emmanuel Macron: l'Italia da sola sarebbe rimasta al palo. I 750 mld del New Generation Eu sono la metà esatta di quanto chiesto da Roma ma anche dal Parlamento europeo. La partita non è finita ed è presto per cantare vittoria. I tempi contano e quelli del Fondo europeo, pur accelerati rispetto alla pachidermica abituale lentezza, sono troppo lunghi per le esigenze di un Paese in ginocchio. Le difficoltà più grosse, per il governo di Roma, inizieranno quando sarà il momento di spendere quei soldi, alle prese con un apparato che sin qui non è riuscito ai investire quasi mai i finanziamenti europei. E' tutto vero. E tuttavia la proposta von der Leyen rappresenta lo stesso un indiscutibile successo per Giuseppe Conte. E' stata l'Italia a insistere in alcune occasioni realmente a muso duro. E' stata Roma a mettere per prima in campo la quarta gamba del Piano europeo, destinata a diventare poi quella principale, in aggiunta al Mes, ai fondi della Bei e al Piano Sure, e a organizzare un'area di pressione composta da tutti i Paesi del Sud. E' stato il premier Conte a mediare, partendo da una richiesta che sapeva impossibile, quella dei coronabond, per poi raggiungere una mediazione che va oltre l'onorevole proprio perché apre un varco verso la condivisione del debito. Salvo totale snaturamento del progetto von der Leyden nella riunione decisiva del Consiglio europeo del 18 e 19 giugno, o in un secondo vertice dei capi di Stato che sarà certamente necessario, Conte esce vincente da una prova che era senza dubbio difficile anche se non si trattava di una mission impossible. Il rischio c'è ma più in teoria che in pratica. I Paesi frugali potranno forse peggiorare un po' il progetto ma non rovesciarlo o svuotarlo di contenuti. Il premier, nonostante gli errori che sono stati parecchi ma meno gravi che in parecchi altri Paesi europei e occidentali, incassa una vittoria, salvo apocalittica seconda ondata, anche sul fronte della sanità e l'impennata dei consensi, ovvia all'inizio della crisi ma molto meno dopo tre mesi di difficoltà e lockdown, lo conferma. Oggi Conte non è più il premier senza poteri che Angela Merkel trattava con visibile sufficienza nel noto colloquio rubato ai tempi del governo gialloverde, quello nel quale la cancelliera sembrava interessata soprattutto a raccogliere informazioni sui veri potenti di Roma, in particolare sull'onnipotente Matteo Salvini. E' un leader europeo a pieno titolo. La sua parola, pur non essendo quella di Merkel o Macron ha un peso reale. I riflessi sulla tenuta dell'esecutivo sul fronte interno italiano sono anche più rilevanti. Vale per il governo italiano la metafora del calabrone. Non dovrebbe poter volare, appesantito dalle divisioni interne, dalla scarsa competenza di molti ministri, dalle circostanze rocambolesche in cui è nato, dall'assenza di un consenso maggioritario nel Paese. Invece vola, e a spiegare lo scherzo di natura vale soprattutto il ruolo di Conte, in parte regalatogli dal caso, ma in parte conquistato con un'abilità diplomatica, e spesso anche manovriera, insospettabile agli esordi, appena un paio d'anni fa. Nonostante divisioni in realtà profondissime il governo ha retto la prova sul dl Scuola, nonostante un braccio di ferro durato 50 giorni e molto più teso ed esasperato di quanto non sia apparso pubblicamente, e non verrà affondato neppure da un tema potenzialmente deflagrante più di ogni altro come il Mes. I rischi sono previsti tutti per l'autunno e sono di tre ordini diversi. L'eventualità di una seconda ondata di contagio è in testa alla lista. I limiti delle reazioni iniziali, inclusa la folle settimana di marzo nella quale tutta la politica nazionale e locale si è spesa per diffondere quanto più possibile il virus, è stata giustificata, con argomentazione non peregrina, con l'impreparazione generale registrata in tutto il mondo. A fronte di una eventuale seconda ondata questa giustificazione non sarebbe più sostenibile ma stavolta l'Italia dovrebbe essere davvero pronta. La crisi economica è una certezza e le conseguenze potrebbero essere devastanti. L'Italia conta però, almeno per un po', sul sostegno dell'Europa e soprattutto della Bce per evitare che la piena dilaghi sino a diventare crisi finanziaria e a chiamare in causa la stessa sostenibilità del debito. La terza emergenza è quella più temuta. La ha illustrata ieri nel modo più impietoso ma realistico il governatore di Bankitalia Visco: la crisi sociale provocata da un impoverimento generalizzato della popolazione che però peserebbe e anzi già pesa soprattutto sulle fasce più deboli: le famiglie più povere hanno perso nella crisi il doppio delle altre. Con un calo del Pil che potrebbe arrivare al 13% ma certamente non andrà sotto il 9% e la conseguente ondata di disoccupazione sarà l'emergenza sociale a mettere comunque a dura prova un governo che si regge essenzialmente sul collante rappresentato da Conte oltre che sulla paura delle elezioni.