Federale oppure Confederale: è tempo di una scelta chiara per capire che Europa vogliamo
Il direttorio Francia- Germania e la proposta economica sul covid. La questione va posta con chiarezza. Se non si avvierà una seria e forte discussione in questo senso, anche la grave pandemia non avrà insegnato niente
Il Presidente francese Emmanuel Macron e la Cancelliera tedesca Angela Merkel hanno proposto un fondo di rilancio europeo da 500 miliardi per favorire gli Stati europei più colpiti dalla crisi. Si tratterebbe di trasferimenti diretti e non di prestiti. Quindi una proposta buona e saggia che la presidente della BCE, Christine Lagarde, sembra rafforzare quando dichiara che bisognerà potenziare il patto di stabilità e sviluppo davanti alla più grave recessione della storia in tempo di pace. Ma c’è un ma che non viene detto e cioè che sulla proposta di Macron e della Merkel incombe il diritto di veto, che si è subito manifestato con la presa di posizione dell’Austria e di altri paesi. Così, dopo le questioni istituzionali sollevate dalla Corte tedesca, sul piano proposto dai due leader europei incombe il diritto di veto che rimanda alla natura stessa dell’assetto istituzionale europeo.
Jean Monnet, grande tecnocrate e grande europeista, autore di quasi tutte le realizzazioni concrete per creare la Comunità europea, dopo la catastrofe della Seconda guerra mondiale, era convinto che per via “funzionalista”, partendo dall’economia e dal mercato comune, con il tempo l’Europa sarebbe diventata una federazione. Nel 1976, quando effettivamente la Comunità aveva superato momenti di grave crisi, come l’affondamento dell’esercito comune o il ritorno degli Stati nazione con De Gaulle, Monnet scrisse che l’Europa si sarebbe fatta “attraverso le crisi” e si sarebbe costituita dall’insieme “delle soluzioni” che si sarebbero trovate “a queste crisi”. In sostanza un itinerario a ostacoli, ma ineluttabilmente destinato a sfociare in una soluzione federale. In realtà, andando di crisi in crisi, la storia, sino alla fine degli anni novanta del secolo scorso, sembrava dar ragione a Monnet.
Così come ai grandi politici che avevano gettato le basi della Comunità europea, ma guardando alla meta finale della creazione degli Stati Uniti d’Europa, il grande sogno coltivato fin dall’ 800 dai pionieri del federalismo europeo, come il nostro Carlo Cattaneo, o come Carlo Rosselli o Altiero Spinelli. Le cose si complicarono non poco quando, dopo il crollo del Muro di Berlino e la caduta del comunismo in Russia, si tentò di rispondere con il trattato di Maastricht ( 1992) che delineava un percorso di convergenza fra gli Stati membri per approdare ad un trattato costituzionale e all’adozione di una moneta unica.
Si sarebbe trattato, con tutte le specificità europee, di un esito federale sul modello degli Stati Uniti o meglio della Bundesrepublik, dove le norme delle istituzioni centrali europee avrebbero prevalso sui singoli Stati o i singoli Länder, annullando il diritto di veto tipico dei sistemi confederali. Tuttavia proprio a quel punto con il fallimento del trattato costituzionale, bocciato per via referendaria dalla Francia e da altri Stati membri, e nello stesso tempo con l’allargamento dell’Unione europea ai paesi europei che per sessant’anni erano stati satelliti- soggetti dell’Unione Sovietica, il processo federale entrò in crisi.
Così l’Unione europea è rimasta una sorta di “ircocervo”, con istituzioni che ancora possiedono il diritto di veto, tipico del sistema confederale, ma con una Banca Centrale Europea cui aderiscono i paesi membri che hanno accettato l’Euro e hanno rinunciato alla sovranità monetaria nazionale. Insomma la moneta unica, l’Euro come il Dollaro, costituisce un presupposto del sistema federale, oppure il punto di passaggio dal confederalismo al federalismo come accadde negli Stati Uniti con la costituzione di Filadelfia e poi con la creazione del Dollaro e poi di una Corte federale. Così le sentenze della Corte di giustizia europea diventerebbero insindacabili e cogenti per tutti gli Stati membri, se l’Unione europea fosse una federazione.
Ma così non è. Allora bisogna riconoscere che l’Unione europea avrebbe bisogno di un processo di riassetto istituzionale. Non a caso gli interventi del Presidente francese Macron vanno in questa direzione. La stessa in cui si muoveva il documento del governo italiano presentato il 14 febbraio 2020, proprio all’inizio della crisi e, quindi, non discusso, intitolato Italian Non- Paper for the Conference on the Future of Europe, 2020- 2022. In realtà il documento italiano poneva un problema e cioè l’esigenza di superare l’impostazione funzionalista, più che indicare una soluzione.
La vera questione dovrebbe essere posta con chiarezza: vogliamo fare della UE una confederazione intergovernativa chiarendo limiti e competenze fra gli Stati nazione e gli organi centrali? Oppure la UE dovrà essere un’unione sovranazionale di tipo federale? In questo secondo caso bisognerà distinguere le politiche che hanno una dimensione nazionale e che dovranno rimanere degli Stati membri, da quelle che hanno una natura e una dimensione sovranazionale ed in primo luogo la politica di difesa e quelle appunto di fronteggiamento e di risposta alle crisi internazionali. Se non si avvierà una seria e forte discussione in questo senso, anche la grave pandemia del tempo che viviamo non avrà insegnato niente.
Federale oppure Confederale: è tempo di una scelta chiara per capire che Europa vogliamo
Il Presidente francese Emmanuel Macron e la Cancelliera tedesca Angela Merkel hanno proposto un fondo di rilancio europeo da 500 miliardi per favorire gli Stati europei più colpiti dalla crisi. Si tratterebbe di trasferimenti diretti e non di prestiti. Quindi una proposta buona e saggia che la presidente della BCE, Christine Lagarde, sembra rafforzare quando dichiara che bisognerà potenziare il patto di stabilità e sviluppo davanti alla più grave recessione della storia in tempo di pace. Ma c’è un ma che non viene detto e cioè che sulla proposta di Macron e della Merkel incombe il diritto di veto, che si è subito manifestato con la presa di posizione dell’Austria e di altri paesi. Così, dopo le questioni istituzionali sollevate dalla Corte tedesca, sul piano proposto dai due leader europei incombe il diritto di veto che rimanda alla natura stessa dell’assetto istituzionale europeo.
Jean Monnet, grande tecnocrate e grande europeista, autore di quasi tutte le realizzazioni concrete per creare la Comunità europea, dopo la catastrofe della Seconda guerra mondiale, era convinto che per via “funzionalista”, partendo dall’economia e dal mercato comune, con il tempo l’Europa sarebbe diventata una federazione. Nel 1976, quando effettivamente la Comunità aveva superato momenti di grave crisi, come l’affondamento dell’esercito comune o il ritorno degli Stati nazione con De Gaulle, Monnet scrisse che l’Europa si sarebbe fatta “attraverso le crisi” e si sarebbe costituita dall’insieme “delle soluzioni” che si sarebbero trovate “a queste crisi”. In sostanza un itinerario a ostacoli, ma ineluttabilmente destinato a sfociare in una soluzione federale. In realtà, andando di crisi in crisi, la storia, sino alla fine degli anni novanta del secolo scorso, sembrava dar ragione a Monnet.
Così come ai grandi politici che avevano gettato le basi della Comunità europea, ma guardando alla meta finale della creazione degli Stati Uniti d’Europa, il grande sogno coltivato fin dall’ 800 dai pionieri del federalismo europeo, come il nostro Carlo Cattaneo, o come Carlo Rosselli o Altiero Spinelli. Le cose si complicarono non poco quando, dopo il crollo del Muro di Berlino e la caduta del comunismo in Russia, si tentò di rispondere con il trattato di Maastricht ( 1992) che delineava un percorso di convergenza fra gli Stati membri per approdare ad un trattato costituzionale e all’adozione di una moneta unica.
Si sarebbe trattato, con tutte le specificità europee, di un esito federale sul modello degli Stati Uniti o meglio della Bundesrepublik, dove le norme delle istituzioni centrali europee avrebbero prevalso sui singoli Stati o i singoli Länder, annullando il diritto di veto tipico dei sistemi confederali. Tuttavia proprio a quel punto con il fallimento del trattato costituzionale, bocciato per via referendaria dalla Francia e da altri Stati membri, e nello stesso tempo con l’allargamento dell’Unione europea ai paesi europei che per sessant’anni erano stati satelliti- soggetti dell’Unione Sovietica, il processo federale entrò in crisi.
Così l’Unione europea è rimasta una sorta di “ircocervo”, con istituzioni che ancora possiedono il diritto di veto, tipico del sistema confederale, ma con una Banca Centrale Europea cui aderiscono i paesi membri che hanno accettato l’Euro e hanno rinunciato alla sovranità monetaria nazionale. Insomma la moneta unica, l’Euro come il Dollaro, costituisce un presupposto del sistema federale, oppure il punto di passaggio dal confederalismo al federalismo come accadde negli Stati Uniti con la costituzione di Filadelfia e poi con la creazione del Dollaro e poi di una Corte federale. Così le sentenze della Corte di giustizia europea diventerebbero insindacabili e cogenti per tutti gli Stati membri, se l’Unione europea fosse una federazione.
Ma così non è. Allora bisogna riconoscere che l’Unione europea avrebbe bisogno di un processo di riassetto istituzionale. Non a caso gli interventi del Presidente francese Macron vanno in questa direzione. La stessa in cui si muoveva il documento del governo italiano presentato il 14 febbraio 2020, proprio all’inizio della crisi e, quindi, non discusso, intitolato Italian Non- Paper for the Conference on the Future of Europe, 2020- 2022. In realtà il documento italiano poneva un problema e cioè l’esigenza di superare l’impostazione funzionalista, più che indicare una soluzione.
La vera questione dovrebbe essere posta con chiarezza: vogliamo fare della UE una confederazione intergovernativa chiarendo limiti e competenze fra gli Stati nazione e gli organi centrali? Oppure la UE dovrà essere un’unione sovranazionale di tipo federale? In questo secondo caso bisognerà distinguere le politiche che hanno una dimensione nazionale e che dovranno rimanere degli Stati membri, da quelle che hanno una natura e una dimensione sovranazionale ed in primo luogo la politica di difesa e quelle appunto di fronteggiamento e di risposta alle crisi internazionali. Se non si avvierà una seria e forte discussione in questo senso, anche la grave pandemia del tempo che viviamo non avrà insegnato niente.
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