Che i servizi segreti turchi abbiano collaborato attivamente, almeno nelle ultime fasi della lunga prigionia di Silvia Romano, con la nostra intelligence è assodato e non solo per il giubbotto con la mezzaluna che la giovane indossava al momento del rilascio. Il fatto non deve destare scandalo e nemmeno meraviglia. Ankara dispone di un apparato militare e di sicurezza imponente e qualificato e la Turchia è un pilastro della NATO. Dall’undici settembre è prassi consolidata la collaborazione delle ‘ barbe finte’ dei paesi occidentali, Stati Uniti compresi, con i colleghi dei paesi musulmani impegnati nella guerra contro il terrorismo islamista. Il ruolo turco nella progressiva disfatta militare e politica del sedicente califfato dell’Isis è indiscutibile per Washington come per noi europei e la benemerenza Erdogan se la è conquistata a caro prezzo sui campi di battaglia, in Iraq e in Siria.
La collaborazione internazionale contro il terrorismo si sviluppa con maggior o minor trasparenza e si articola con modalità diverse a seconda dei contesti e dei soggetti interessati. Non occorre essere del ramo per comprendere ad esempio che lavorare insieme ai servizi egiziani per liberare un ostaggio non è la stessa cosa che farlo con quelli tunisini e che non è indifferente se gli occidentali impegnati sul campo sono americani o europei.
Inoltre, come dimostra anche l’intricata odissea della Romano, la partita non è mai giocata solo da chi ‘ ci mette la faccia’ per raggiungere l obiettivo della liberazione di un ostaggio. La storia di tante vicende testimonia che un ruolo spesso strategico lo hanno organizzazioni o strutture opache, di cui poco si sa anche quando tutto finisce, bene o male che vada. Dietro ogni sequestro sono sempre attivi i cosiddetti intermediari, categoria essenziale per ogni trattativa, in cui rientrano organizzazioni umanitarie e non governative, leaders di comunità tribali, autorità religiose più o meno influenti. E, come nei film, non mancano affaristi senza scrupoli, millantatori e doppiogiochisti. Quando un sequestro termina è sempre difficile, per chi non è del mestiere, capire come si è arrivati al successo o perché la trattativa è fallita.
C’è però sempre un dato da cui partire e che non può essere definito una variante all’interno di una partita per sua natura complessa: ogni soggetto si muove perché ha un interesse preciso e specifico e sa sempre di dover pagare un prezzo per raggiungere l’obiettivo.
Non mi riferisco al costo in danaro delle liberazioni e nemmeno alle spese, spesso ingenti, necessarie per attivare i contatti giusti. Questo è un aspetto necessariamente avvolto nella nebbia e non può essere altrimenti perché la ragione di Stato lo impone, a tutti.
Tornando alla vicenda Romano è quindi il caso di porsi qualche domanda più ragionata. L’ Italia, abbia pagato o meno il riscatto ( probabilmente si), ha fatto certamente bene ad avvalersi della preziosa collaborazione turca per riportare a casa una connazionale che, va detto per inciso ma con chiarezza, è semplicemente osceno insultare e minacciare come se fosse il carnefice e non la vittima. Chi lo fa merita solo disprezzo.
L’ Italia ha raggiunto il suo obiettivo ma, ed è questa la domanda da porsi, qual era l’ obiettivo della Turchia ? Nobili ragioni umanitarie? Forse, ma è difficile crederlo se si pensa alla tragedia curda e alla feroce repressione di Erdogan verso il dissenso interno. Solidarietà con un alleato ? Anche, ma l ’ Italia nella Nato non ha certo il peso degli USA o della Gran Bretagna… E allora.? Azzardiamo una risposta. L’ obiettivo della Turchia era di carattere geopolitico. La vicenda Romano è stata una buona occasione per muoversi sul piano internazionale. Da tempo Erdogan mostra grande attenzione al ruolo che il suo paese può avere negli assetti geopolitici futuri. Si muove in modo risoluto e più fronti, quando serve impegna le proprie forze armate, come in Libia Nel corno d’ Africa i turchi sono presenti da tempo, della Siria e dell ’ Iraq si è detto. La strategia della ‘ rinascita ottomana’ è quella di garantirsi un ruolo primario in tutto il bacino mediterraneo, non solo con i correligionari islamici.
Questo spiega perché Ankara si è impegnata, in modo che fosse evidente a tutti, per aiutarci. Oggi la Turchia vanta un credito con Roma. E prima o poi proverà a riscuoterlo. Il ‘ favore’ che l’ Italia potrebbe sentirsi chiedere è di modificare, o per lo meno attenuare, la nostra posizione nella crisi che contrappone Ankara ed Atene a proposito della delimitazione delle acque mediterranee in cui effettuare ricerche per lo sfruttamento di nuove risorse energetiche. Le pretese turche e libiche sono state giudicate provocatorie ed inammissibili dall Unione Europea, da Israele e finanche dagli USA. Di Maio lo ha ribadito al collega greco Dendias, appositamente incontrato a Roma, il 4 marzo scorso. E, sempre in materia energetica, qualche giorno fa, nonostante le dure proteste di Nicosia e di Atene, nelle acque territoriali di Cipro è giunta una nave perforatrice turca che sarà impegnata nella ricerca di idrocarburi e metano fino al 18 luglio.
Già, Cipro, l ’ isola divisa in due da decenni e la cui parte settentrionale si è costituita in stato indipendente con la protezione anche militare della Turchia.
Già, ma noi italiani che c’entriamo.? Basta chiederlo all ENI che da tempo sta svolgendo, nelle acque di cui anche i turchi vorrebbero disporre, ricerche per garantire a Nicosia e ovviamente a se stessa ( quindi all’ Italia) lo sfruttamento delle risorse sottomarine.
Che alla Farnesina e negli uffici dei nostri Servizi tutto ciò sia noto è scontato, così come che l’informativa sia stata fornita ‘ alle superiori gerarchie’. Speriamo che Di Maio e Conte vi prestino la dovuta attenzione e non pensino davvero che la Turchia è stata così collaborativa per …. amicizia nei nostri confronti.
L’aiuto non disinteressato degli 007 turchi e le mire di Erdogan nel Mediterraneo
Che i servizi segreti turchi abbiano collaborato attivamente, almeno nelle ultime fasi della lunga prigionia di Silvia Romano, con la nostra intelligence è assodato e non solo per il giubbotto con la mezzaluna che la giovane indossava al momento del rilascio. Il fatto non deve destare scandalo e nemmeno meraviglia. Ankara dispone di un apparato militare e di sicurezza imponente e qualificato e la Turchia è un pilastro della NATO. Dall’undici settembre è prassi consolidata la collaborazione delle ‘ barbe finte’ dei paesi occidentali, Stati Uniti compresi, con i colleghi dei paesi musulmani impegnati nella guerra contro il terrorismo islamista. Il ruolo turco nella progressiva disfatta militare e politica del sedicente califfato dell’Isis è indiscutibile per Washington come per noi europei e la benemerenza Erdogan se la è conquistata a caro prezzo sui campi di battaglia, in Iraq e in Siria.
La collaborazione internazionale contro il terrorismo si sviluppa con maggior o minor trasparenza e si articola con modalità diverse a seconda dei contesti e dei soggetti interessati. Non occorre essere del ramo per comprendere ad esempio che lavorare insieme ai servizi egiziani per liberare un ostaggio non è la stessa cosa che farlo con quelli tunisini e che non è indifferente se gli occidentali impegnati sul campo sono americani o europei.
Inoltre, come dimostra anche l’intricata odissea della Romano, la partita non è mai giocata solo da chi ‘ ci mette la faccia’ per raggiungere l obiettivo della liberazione di un ostaggio. La storia di tante vicende testimonia che un ruolo spesso strategico lo hanno organizzazioni o strutture opache, di cui poco si sa anche quando tutto finisce, bene o male che vada. Dietro ogni sequestro sono sempre attivi i cosiddetti intermediari, categoria essenziale per ogni trattativa, in cui rientrano organizzazioni umanitarie e non governative, leaders di comunità tribali, autorità religiose più o meno influenti. E, come nei film, non mancano affaristi senza scrupoli, millantatori e doppiogiochisti. Quando un sequestro termina è sempre difficile, per chi non è del mestiere, capire come si è arrivati al successo o perché la trattativa è fallita.
C’è però sempre un dato da cui partire e che non può essere definito una variante all’interno di una partita per sua natura complessa: ogni soggetto si muove perché ha un interesse preciso e specifico e sa sempre di dover pagare un prezzo per raggiungere l’obiettivo.
Non mi riferisco al costo in danaro delle liberazioni e nemmeno alle spese, spesso ingenti, necessarie per attivare i contatti giusti. Questo è un aspetto necessariamente avvolto nella nebbia e non può essere altrimenti perché la ragione di Stato lo impone, a tutti.
Tornando alla vicenda Romano è quindi il caso di porsi qualche domanda più ragionata. L’ Italia, abbia pagato o meno il riscatto ( probabilmente si), ha fatto certamente bene ad avvalersi della preziosa collaborazione turca per riportare a casa una connazionale che, va detto per inciso ma con chiarezza, è semplicemente osceno insultare e minacciare come se fosse il carnefice e non la vittima. Chi lo fa merita solo disprezzo.
L’ Italia ha raggiunto il suo obiettivo ma, ed è questa la domanda da porsi, qual era l’ obiettivo della Turchia ? Nobili ragioni umanitarie? Forse, ma è difficile crederlo se si pensa alla tragedia curda e alla feroce repressione di Erdogan verso il dissenso interno. Solidarietà con un alleato ? Anche, ma l ’ Italia nella Nato non ha certo il peso degli USA o della Gran Bretagna… E allora.? Azzardiamo una risposta. L’ obiettivo della Turchia era di carattere geopolitico. La vicenda Romano è stata una buona occasione per muoversi sul piano internazionale. Da tempo Erdogan mostra grande attenzione al ruolo che il suo paese può avere negli assetti geopolitici futuri. Si muove in modo risoluto e più fronti, quando serve impegna le proprie forze armate, come in Libia Nel corno d’ Africa i turchi sono presenti da tempo, della Siria e dell ’ Iraq si è detto. La strategia della ‘ rinascita ottomana’ è quella di garantirsi un ruolo primario in tutto il bacino mediterraneo, non solo con i correligionari islamici.
Questo spiega perché Ankara si è impegnata, in modo che fosse evidente a tutti, per aiutarci. Oggi la Turchia vanta un credito con Roma. E prima o poi proverà a riscuoterlo. Il ‘ favore’ che l’ Italia potrebbe sentirsi chiedere è di modificare, o per lo meno attenuare, la nostra posizione nella crisi che contrappone Ankara ed Atene a proposito della delimitazione delle acque mediterranee in cui effettuare ricerche per lo sfruttamento di nuove risorse energetiche. Le pretese turche e libiche sono state giudicate provocatorie ed inammissibili dall Unione Europea, da Israele e finanche dagli USA. Di Maio lo ha ribadito al collega greco Dendias, appositamente incontrato a Roma, il 4 marzo scorso. E, sempre in materia energetica, qualche giorno fa, nonostante le dure proteste di Nicosia e di Atene, nelle acque territoriali di Cipro è giunta una nave perforatrice turca che sarà impegnata nella ricerca di idrocarburi e metano fino al 18 luglio.
Già, Cipro, l ’ isola divisa in due da decenni e la cui parte settentrionale si è costituita in stato indipendente con la protezione anche militare della Turchia.
Già, ma noi italiani che c’entriamo.? Basta chiederlo all ENI che da tempo sta svolgendo, nelle acque di cui anche i turchi vorrebbero disporre, ricerche per garantire a Nicosia e ovviamente a se stessa ( quindi all’ Italia) lo sfruttamento delle risorse sottomarine.
Che alla Farnesina e negli uffici dei nostri Servizi tutto ciò sia noto è scontato, così come che l’informativa sia stata fornita ‘ alle superiori gerarchie’. Speriamo che Di Maio e Conte vi prestino la dovuta attenzione e non pensino davvero che la Turchia è stata così collaborativa per …. amicizia nei nostri confronti.
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