Le misure di distanziamento sociale in Europa si basano sulla più recente evidenza scientifica e sui dati a disposizione dei decisori in ciascuno Stato membro, sono temporanee e non lesive dei diritti democratici e dei valori liberali europei, quali la libertà di movimento e di espressione ( dal portale dell’Unione europea per l’informazione sul COVID- 19). È così in Italia? “I responsabili politici debbono costantemente affrontare il dilemma di equilibrare la libertà e i diritti degli individui, delle industrie e delle organizzazioni con l’esigenza di ridurre i rischi di effetti negativi per l’ambiente e per la salute degli esseri umani, degli animali e delle piante”. Questa frase è tratta dalla Comunicazione della Commissione europea del 2 febbraio 2000 sul “principio di precauzione”, che si applica in presenza di un rischio potenziale per l’ambiente o la salute quando le prove scientifiche non consentono una valutazione completa del rischio, ad esempio perché insufficienti. Il piano italiano per la «Fase 2» rispetta il principio di precauzione?

Secondo la Comunicazione, in tali circostanze è giusto affidare la valutazione scientifica agli esperti, ma mentre le loro conclusioni s’ispirano a prudenza, le decisioni dei governanti rientrano nella gestione e limitazione del rischio, senza però perseguire un rischio zero che raramente esiste. L’adozione delle decisioni politiche segue una strategia che comincia dal coinvolgere prima possibile tutte le parti interessate in una procedura trasparente e attuare soluzioni coerenti con situazioni analoghe. Il Governo ha istituito ben 15 nuovi gruppi di lavoro su questa crisi per un totale di 450 esperti. La Task Force «Fase 2», in particolare, è composta per lo più di accademici della sanità ed economia. Non vi siedono le associazioni di categoria, che pure sono parti interessate nell’accezione della Comunicazione. Inoltre, i verbali delle riunioni della Task Force non verranno pubblicati fino alla conclusione della pandemia. Quindi non vi è modo di sapere se gli esperti abbiano esaminato le misure prese in altri Paesi europei. Nella strategia di precauzione i decisori devono compiere un’analisi costi- benefici che comprende la considerazione del grado di accettazione da parte della società. Le misure di protezione non devono essere sproporzionate, dove per proporzionalità s’intendono anche gli effetti potenziali a lungo termine e sul benessere delle generazioni future. Ad esempio, si può optare per misure di riduzione del rischio meno restrittive degli scambi a fronte di un livello di protezione equivalente. Il Governo ha riflettuto su questi elementi nell’imporre la chiusura delle attività produttive?

La Commissione europea, nella roadmap per la revoca delle misure di contenimento ( 14 aprile), ha indicato che gli Stati membri dovrebbero riflettere sulle seguenti categorie, elencate in questa sequenza: 1. scuole e università; 2. attività commerciali ( al dettaglio); 3. attività sociali ( ristoranti, bar, centri sportivi); 4. assembramenti di massa. I gruppi più vulnerabili dovrebbero essere protetti per un periodo di tempo più lungo. Su questo, vi è conflitto tra il capo della Task Force, favorevole all’estensione del confinamento per gli over- 60, e il Premier, contrario. Un punto molto controverso della «Fase 2» sono le visite: possono i cittadini accettare regole che limitano così seriamente la loro libertà personale, e in più comunicate senza alcuna chiarezza sui famigerati “congiunti”? I giuristi torinesi, in una lettera aperta al Presidente del Consiglio, hanno rilevato nei decreti la violazione di numerosi diritti costituzionali, tra cui le libertà di circolazione e di espressione del pensiero, cioè quei valori tutelati dalla Commissione europea. Ultimo criterio della strategia: le misure di protezione non devono essere discriminatorie. Ciò significa non trattare le stesse situazioni in modo diverso, né situazioni diverse in identico modo. Quindi, una misura unica per tutte le regioni, o per tutte le attività produttive e sociali, probabilmente non è adeguata a tutte. In primis dovrebbero essere revocate le misure aventi un impatto a livello locale, seguite progressivamente da quelle applicabili a un ambito geografico più ampio, secondo la Commissione europea. Giustamente, dunque, le regioni italiane hanno chiesto e ottenuto dal Governo di potersi discostare dalle consegne dal 18 maggio.

Nel fare questo, suggeriamo che le regioni applichino le tre condizioni indicate dalla Commissione europea per il rilassamento delle misure protettive: 1. criteri epidemiologici che dimostrino la netta diminuzione e stabilizzazione dei contagi su un arco di tempo prolungato; 2. sufficiente capacità dei sistemi sanitari; 3. adeguata capacità di monitoraggio. Applicando questi parametri è possibile allentare dapprima le misure che incidono più direttamente sulla vita delle persone e tenere meglio conto delle differenze tra regioni nella diffusione del COVID- 19. Ovviamente si tratta sempre di misure temporanee da rivedere seguendo i progressi delle conoscenze scientifiche.