Ho letto con interesse sulla prima pagina del Dubbio, la riflessione di Ugo Intini sulle prospettive catastrofiche dello scenario italiano nel caso di indugi, proposte o comportamenti che allontanassero la nostra Stella Polare dall’Unione Europea e dalla BCE.

In effetti, sembrano tre le minacce alla Bella Italia di cui preoccuparsi. La prima non è contemplata da Intini, ma merita di essere considerata: oggi assistiamo ad una caduta della domanda interna dovuta ai consumi delle famiglie oltre che degli investimenti pubblici. Se tale caduta non verrà urgentemente e adeguatamente contrastata con ogni metodo, determinerà un crollo dell’offerta interna perché le piccole imprese chiuderanno per non riaprire ( le piccole imprese funzionano bene in condizioni di mercato “che tira”, ma sono più vulnerabili delle grandi nel caso contrario).

Il governo si è preoccupato della disponibilità di credito, sottovalutando che – nelle attuali circostanze ( ben diverso sarebbe stato prima dell’emergenza) – le piccole imprese non intravvedono scenari di sviluppo tali da consigliare ulteriori debiti: se il fatturato non cresce come faranno a ripagare i costi ordinari e gli ulteriori debiti?

Dopo la chiusura delle imprese potrebbe determinarsi lo scenario peggiore: il calo dell’offerta maggiore di quello della domanda ovverosia aumento dei prezzi ( in condizioni di disoccupazione) e aumento delle importazioni.

Un governo saggio dovrebbe fare qualunque cosa adesso ( moneta parallela, buoni acquisto, certificati di credito fiscale, ecc.) perché le stesse misure, quando l’offerta interna sarà compromessa, determinerebbero inflazione e deficit commerciale.

La seconda minaccia – e Intini fa bene a rigirare il coltello nella piaga – riguarda la tenuta del debito pubblico. Senza l’aiuto della BCE e di fronte ad un attacco speculativo, il prezzo delle obbligazioni crollerebbe sul mercato secondario. Un’ottima occasione per comperarle da parte dei risparmiatori che guadagnerebbero tre volte: sul prezzo, sul rendimento ( rispetto al denaro, così, parcheggiato nei depositi e nei conti correnti) e ottenendo garanzie inequivocabili dallo Stato. Alternative: una patrimoniale pazzesca. Sarebbe, quindi, di comune interesse, modificare i portafogli dei benestanti in alternativa alla scelta tra più tasse e la fuga all’estero.

Questo vuol dire che, finita la pelosa disponibilità della BCE e della UE, ci sarebbe ancora vita in Italia, purché si operasse nell’unica direzione possibile ( visto che, ad esempio nel 2019, 224 miliardi delle nostre tasse, sono stati assorbiti dall’ammortamento dei titoli scaduti e altri 70 per pagamento degli interessi).

La terza minaccia è sistemica: ben prima di questa emergenza era già chiaro che oltre il 70% degli investimenti produttivi presentavano una redditività insufficiente per la semplicissima ragione che l’economia del debito è superata in tutto il mondo: dove i margini di redditività sono alti ( circa il 30% del totale delle attività) la domanda di lavoro è decrescente e lo sarà sempre di più ( Industria 4.0, robotizzazione, Intelligenza artificiale); dove avremmo disperato bisogno di risposte e dove, quindi, sarebbe possibile creare milioni di posti lavoro – vale a dire nei servizi di cura delle persone e dell’ambiente, di recupero del patrimonio esistente – i costi supererebbero il fatturato.

Questa emergenza ci dà la possibilità di intervenire con moneta non a debito: la BCE potrebbe farlo come la FED e tante altre banche Centrali, in condizioni così eccezionali.

Se ciò non accadrà il “Facciamo da soli” di Giuseppe Conte dovrà essere la sfida per questa generazione e le successive, la nuova frontiera da conquistare. Europa sì, Europa no è un mero esercizio teorico e propagandistico: prenderemo l’unica strada possibile, quella che porta a risolvere i problemi con nuovi approcci, non ad aggravarli con vecchie e fallimentari ricette.