«Continenza e cautela». Arriva dai consiglieri del Csm in quota M5s il primo stop alle esternazioni di Nino Di Matteo. Con una nota, i laici pentastellati Alberto Maria Benedetti, Filippo Donati e Fulvio Gigliotti ricordano che «i consiglieri del Csm, togati e laici, dovrebbero, più di chiunque altro, osservare continenza e cautela nell'esprimere, specialmente ai media, le proprie opinioni, proprio per evitare di alimentare speculazioni e strumentalizzazioni politico-mediatiche che fanno male alla giustizia e minano l'autorevolezza del Consiglio». Oggetto della reprimenda, pur senza mai citarlo, lex pm antimafia Nino Di Matteo e la sua dura presa di posizione nei confronti del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede durante lultima puntata della trasmissione Non è larena di Massimo Giletti su La7.Di Matteo, intervistato domenica scorsa a proposito delle recenti scarcerazioni di detenuti sottoposti al regime del 41 bis, aveva accusato Bonafede di aver sostanzialmente ceduto ai boss non nominandolo al vertice del Dap. Una vicenda tenuta riservata (parole del magistrato siciliano) fino ad ora e gettata sulla pubblica piazza a distanza di due anni.Le affermazioni di Di Matteo avevano scatenato una violenta polemica politica con la richiesta, da parte delle opposizioni e dei renziani di Italia viva, di dimissioni di Bonafede che, oltre ad essere il ministro della Giustizia è anche il capo delegazione del Movimento. Esprimiamo, proseguono i tre consiglieri, «forte preoccupazione per il clima venutosi a creare, specie in un momento in cui la giustizia necessiterebbe di unità e collaborazione tra tutti gli operatori, nell'interesse del Paese e dei cittadini. Chi ha l'onore di ricoprire un incarico di così grande rilievo costituzionale, deve sapersi auto-limitare; questo non significa aggiungono, quindi, i laici del M5s - rinunciare a esprimere le proprie opinioni, ma vuole dire farlo nelle forme e nei modi corretti. E' quello che noi facciamo, e convintamente continueremo a fare, da quando, nel settembre 2018, siamo stati chiamati dal Parlamento al ruolo di componenti del Csm». Una presa di posizione forte che cerca di salvare il Guardasigilli, allentando il fuoco di fila di queste ore su via ArenulaDomani Bonafede, infatti, risponderà sul punto al question-time alla Camera. Il dibattito si preannuncia incandescente in quanto molti parlamentari hanno già fatto sapere che chiederanno di conoscere i reali motivi per cui il ministro, a giugno del 2018, dopo aver offerto a Di Matteo lincarico di n. 1 del Dap, decise di cambiare idea, preferendogli Francesco Basentini. La giustificazione fornita da Bonafede sarebbe che aveva proposto a Di Matteo un altro incarico di prestigio sul fronte della lotta alla mafia, lo stesso avuto ai tempi da Giovanni Falcone al Ministero della giustizia, cioè di direttore degli Affari penali.Una spiegazione che non ha convinto dato che quellufficio non esiste più da anni, a seguito della riorganizzazione del Ministero, avendo cambiato nome in Direzione Affari interni. Un ufficio non apicale come il Dap e che, soprattutto, non si occupa di contrasto alla mafia. Cosa succederà al Csm adesso è difficile prevederlo.Il fatto che lattacco a Di Matteo venga dai laici del M5s suscita più di un interrogativo.Di Matteo, oltre ad aver partecipato ad eventi organizzati dal Movimento, è da sempre lidolo dei grillini che avrebbero voluto lui, e non Bonafede, come ministro della Giustizia. Di Matteo è stato eletto ad ottobre dello scorso anno a Palazzo dei Marescialli nelle liste di Autonomia&indipendenza, la corrente che ha in Piercamillo Davigo il punto di riferimento ed è oggi alleata con le toghe progressiste di Area. A&i ed Area contano cinque consiglieri a testa. A questi dieci togati si sommano i tre laici in quota M5s ed il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi (Area). Sulla carta, dunque, 14 voti che garantiscono una solida maggioranza. La presa di distanza dei laici pentastellati da Di Matteo rischia di mettere in discussione gli equilibri al Csm, dove anche un voto è determinante.