Con una mano rivendica l'indipendenza della magistratura di sorveglianza e con l'altra la mette sotto tutela. Insomma, il caso Zagaria - l'ex boss a cui sono stati concessi i domiciliari per gravissimi motivi di salute - sembra aver mandato in tilt il ministro della Giustizia Bonafede e con lui un pezzo di governo. Di fronte agli attacchi dell'antimafia militante, tv comprese, e quelli di Meloni, Salvini e financo Renzi - tutti indignati per la scelta di mandare a casa il boss malato - il Guardasigilli ha dovuto per forza di cose difendere i giudici salvo poi annunciare un decreto legge che toglie loro ogni potere. Colpito al cuore del giustizialismo - il core business politico del grillismo - il ministro ha infatti deciso che prima di scarcerare i detenuti al 41bis,  il tribunale di sorveglianza dovrà sentire anche il parere del procuratore nazionale antimafia.  Una decisione che ha fatto saltare dalla sedia mezza magistratura italiana - la metà più garantista, naturalmente - la quale ha parlato senza mezzi termini di grave atto di delegittimazione. A quel punto Bonafede, nel suo question time alla Camera, ha cercato di mettere una pezza: "Non c'è alcun governo che possa imporre o anche soltanto influenzare le decisioni dei giudici", ha tuonato il ministro della giustizia dallo scranno che fu di Moro, Vassalli, Conso e Flick. E ancora: "La Costituzione - ha continuato -non lascia spazio ad ipotesi in cui la circolare di un direttore generale di un dipartimento di un ministero possa dettare la decisione di un magistrato. Le scarcerazioni richiamate sono decisioni giurisdizionali di natura discrezionale impugnabili secondo la relativa disciplina". Punto. Insomma, il ministro Bonafede ha preso due piccioni con una fava: da un lato ha scaricato sui giudici del tribunale di sorveglianza tutte le responsabilità del caso Zagaria e dall'altro ha preparato una legge che toglie loro ogni potere futuro.