Lo scorso 20 aprile la presidente della Corte costituzionale ha disposto che sino al 30 giugno la partecipazione dei giudici alle camere di consiglio e alle udienze pubbliche potrà avvenire anche da remoto ( il luogo di collegamento verrà considerata camera di consiglio o aula di udienza), che le decisioni verranno assunte sulla base degli atti, ferma la possibilità per le parti di chiedere la trattazione, che avverrà sempre in remoto, senza toga.
Quanto sopra, per contrastare l’emergenza epidemiologica.
La peculiarità del giudizio dinanzi al Giudice delle Leggi e la finalità alla base del decreto non consentono sovrapposizioni tout court rispetto a quanto previsto dal governo, ma l’autorevolezza della decisione ( certamente sofferta) impone alcune riflessioni sugli scenari futuri, sui quali già molti commentatori hanno segnalato i vulnera irrimediabili alla sorte del processo penale.
Breve. Quasi trent’anni fa Adriano Sofri scriveva un piccolo volume ( Come si scrivono le sentenze. Futuro anteriore), nel quale annotava che “il futuro non è mai semplice; il futuro anteriore fu la prima scoperta del vincolo misterioso e attorcigliato che lega ciò che sarà a ciò che è stato”. Preconizzando l’estinzione del futuro anteriore, si sosteneva la perdita de “l’argomento più invincibile e commovente contro l’ergastolo”. Per eterogenesi dei fini, la forma verbale che regala il diritto alla speranza agli ergastolani pare oggi disegnare un orizzonte nefasto.
Saremo andati nel burrone. Il futuro anteriore, nel suo uso epistemico, indica infatti una supposizione su un avvenimento, ed è una forma verbale che propone eventi considerati come compiuti, che si trovano nell’ambito dell’avvenire, l’anteriorità di un evento rispetto a un momento del futuro.
Così, per il processo in remoto ( una farsa, un simulacro, un surrogato di quello “Giusto”, che la Costituzione prevede), questo è ciò che riserva il futuro ( non solo, non di certo, solo fino al 30 giugno). Come Odisseo, dovremo farci legare per resistere al canto delle sirene; in tante parti d’Italia si piangono morti, senza poterli neanche accompagnare al momento del loro congedo da noi e dalla vita. In tutta Italia i diritti sono sospesi, e ovunque si avverte l’esigenza di tornare al lavoro. Anche per gli Avvocati è così. L’aver posto la tutela della salute alla base degli strappi alle regole processuali e costituzionali oggi propone il conto di una minestra indigeribile, e svela la reale finalità della decretazione d’urgenza. Così per la sospensione dei termini di custodia cautelare e della prescrizione, laddove, prima del Covid, si era ( erroneamente) ritenuto che nei processi con imputati detenuti l’astensione dalle udienze fosse recessiva. Così, addirittura, in tanti hanno oggi sacrificato questi interessi, preferendo rinviare la trattazione dei processi con detenuti. Volendo, si può; un’indecenza.
Per intanto, occorre prendere atto che le proposte avanzate dall’Ucpi si infrangono sui frangiflutti dell’inciviltà giuridica, della deliberata volontà di pareggiare i conti con la riforma costituzionale dell’articolo 111, cui dedicò tutta la sua passione e tenacia il compianto Giuseppe Frigo. Come già accaduto nelle puntate precedenti ( la riforma penale, i tavoli, la prescrizione, le varie modifiche al codice penale e a quello di rito), la disponibilità del governo all’ascolto in realtà si rivela per quello che è: un’interlocuzione sorda alla ragionevolezza, e condizionata a soddisfare altri desiderata politici. Così, com’era ovvio attendersi, i togati di AeI al Csm hanno già proposto di rendere stabili alcune novità del decreto Cura Italia, per ciò che attiene al remoto. Vellicando gli amici, la risposta è pronta.
Al dunque, vi è da chiedersi quali risposte fornire a ciò che è steso sul tavolo del perito settore; l’esame autoptico delle garanzie, o la risposta – unica – che gli Avvocati possono e debbono offrire alla barbarie ipocrita che per renderci immuni ci consegna a un lockdown dei diritti, dietro a uno schermo, ma per sempre dinanzi allo specchio infranto delle garanzie. Non eccezioni o questioni ( men che meno di legittimità costituzionali, per le quali occorre trovare un Giudice, per le quali la Corte risponderebbe tra un anno, forse nei termini già indicati dal citato decreto); basterebbe non accendere il pc.
Per non farsi trovare senza toga, e magari senza vergogna.
Il futuro del processo nell’abisso virtuale: ora la barbarie ha l’alibi dell’emergenza
Lo scorso 20 aprile la presidente della Corte costituzionale ha disposto che sino al 30 giugno la partecipazione dei giudici alle camere di consiglio e alle udienze pubbliche potrà avvenire anche da remoto ( il luogo di collegamento verrà considerata camera di consiglio o aula di udienza), che le decisioni verranno assunte sulla base degli atti, ferma la possibilità per le parti di chiedere la trattazione, che avverrà sempre in remoto, senza toga.
Quanto sopra, per contrastare l’emergenza epidemiologica.
La peculiarità del giudizio dinanzi al Giudice delle Leggi e la finalità alla base del decreto non consentono sovrapposizioni tout court rispetto a quanto previsto dal governo, ma l’autorevolezza della decisione ( certamente sofferta) impone alcune riflessioni sugli scenari futuri, sui quali già molti commentatori hanno segnalato i vulnera irrimediabili alla sorte del processo penale.
Breve. Quasi trent’anni fa Adriano Sofri scriveva un piccolo volume ( Come si scrivono le sentenze. Futuro anteriore), nel quale annotava che “il futuro non è mai semplice; il futuro anteriore fu la prima scoperta del vincolo misterioso e attorcigliato che lega ciò che sarà a ciò che è stato”. Preconizzando l’estinzione del futuro anteriore, si sosteneva la perdita de “l’argomento più invincibile e commovente contro l’ergastolo”. Per eterogenesi dei fini, la forma verbale che regala il diritto alla speranza agli ergastolani pare oggi disegnare un orizzonte nefasto.
Saremo andati nel burrone. Il futuro anteriore, nel suo uso epistemico, indica infatti una supposizione su un avvenimento, ed è una forma verbale che propone eventi considerati come compiuti, che si trovano nell’ambito dell’avvenire, l’anteriorità di un evento rispetto a un momento del futuro.
Così, per il processo in remoto ( una farsa, un simulacro, un surrogato di quello “Giusto”, che la Costituzione prevede), questo è ciò che riserva il futuro ( non solo, non di certo, solo fino al 30 giugno). Come Odisseo, dovremo farci legare per resistere al canto delle sirene; in tante parti d’Italia si piangono morti, senza poterli neanche accompagnare al momento del loro congedo da noi e dalla vita. In tutta Italia i diritti sono sospesi, e ovunque si avverte l’esigenza di tornare al lavoro. Anche per gli Avvocati è così. L’aver posto la tutela della salute alla base degli strappi alle regole processuali e costituzionali oggi propone il conto di una minestra indigeribile, e svela la reale finalità della decretazione d’urgenza. Così per la sospensione dei termini di custodia cautelare e della prescrizione, laddove, prima del Covid, si era ( erroneamente) ritenuto che nei processi con imputati detenuti l’astensione dalle udienze fosse recessiva. Così, addirittura, in tanti hanno oggi sacrificato questi interessi, preferendo rinviare la trattazione dei processi con detenuti. Volendo, si può; un’indecenza.
Per intanto, occorre prendere atto che le proposte avanzate dall’Ucpi si infrangono sui frangiflutti dell’inciviltà giuridica, della deliberata volontà di pareggiare i conti con la riforma costituzionale dell’articolo 111, cui dedicò tutta la sua passione e tenacia il compianto Giuseppe Frigo. Come già accaduto nelle puntate precedenti ( la riforma penale, i tavoli, la prescrizione, le varie modifiche al codice penale e a quello di rito), la disponibilità del governo all’ascolto in realtà si rivela per quello che è: un’interlocuzione sorda alla ragionevolezza, e condizionata a soddisfare altri desiderata politici. Così, com’era ovvio attendersi, i togati di AeI al Csm hanno già proposto di rendere stabili alcune novità del decreto Cura Italia, per ciò che attiene al remoto. Vellicando gli amici, la risposta è pronta.
Al dunque, vi è da chiedersi quali risposte fornire a ciò che è steso sul tavolo del perito settore; l’esame autoptico delle garanzie, o la risposta – unica – che gli Avvocati possono e debbono offrire alla barbarie ipocrita che per renderci immuni ci consegna a un lockdown dei diritti, dietro a uno schermo, ma per sempre dinanzi allo specchio infranto delle garanzie. Non eccezioni o questioni ( men che meno di legittimità costituzionali, per le quali occorre trovare un Giudice, per le quali la Corte risponderebbe tra un anno, forse nei termini già indicati dal citato decreto); basterebbe non accendere il pc.
Per non farsi trovare senza toga, e magari senza vergogna.
* avvocato
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