di Giovanni Malinconico* Sono ormai quaranta giorni che, come la gran parte delle attività individuali e sociali, la Giustizia è bloccata e, con essa, le aspettative delle persone che hanno diritti in attesa di tutela: i genitori separati che si contendono i figli; il creditore esasperato che attende il pagamento di una somma che gli permetterà di mantenere i propri cari o la propria azienda; l’imprenditore che sta difendendo la propria impresa da un concorrente sleale; il contribuente a cui lo Stato richieda ingiustamente tasse non dovute; la persona oggetto di un’accusa penale ingiusta o la vittima di un reato che aspetta la condanna del colpevole; il cittadino che subisce soprusi da una amministrazione pubblica; etc... Può questa funzione essenziale alla vita sociale fermarsi per un tempo tanto lungo? Oggi sappiamo che il blocco durerà ancora fino all’11 maggio, sebbene da martedì scorso siano riprese le attività professionali, pur con tutte le cautele del caso. Sappiamo anche, però, che il 12 maggio non sarà il giorno del ritorno alla normalità e che il distanziamento sociale continuerà fino a quando non sia stato sperimentato con successo un vaccino adeguato: il che vuol dire che, in questo periodo “cuscinetto”, le attività saranno svolte “a scartamento ridotto” o con modalità diverse, privilegiando il lavoro da remoto o comunque riducendo la concentrazione di persone. E dunque questo piccolo passo in avanti, che ci invita e ci fa sperare, ci interroga comunque su cosa ci aspetta alla ripresa, ci preannuncia una fortissima accelerazione ai fenomeni di trasformazione che erano in corso e ci fa comprendere che, in molti casi, la domanda di tutela giudiziaria si orienterà in modo diverso. In un momento di crisi e di trasformazione così profonde, alla nostra Giustizia, chiamata a dare sostegno e risposte al nostro sistema sociale e produttivo ancor più di prima, occorre offrire un piano straordinario di investimento e potenziamento di risorse materiali, umane e tecnologiche affinché le attività giudiziarie siano organizzate in modo da tenerle in sicurezza. Questo, se da un lato impone la delocalizzazione di alcune fasi dei processi nel periodo limitato della fase emergenziale, per rendere meno congestionati gli ambienti giudiziari (anche con l’uso limitato di strumenti tecnologici), allo stesso tempo richiede di conservare la consapevolezza che l’efficienza della Giustizia si misura sulla tempestività e “giustizia” delle sue sentenze: il che significa che molte attività, anche in una fase emergenziale, non potranno essere svolte da remoto (si pensi, ad esempio, all’audizione di una parte o di un testimone, che va guardato in viso e di cui va soppesata la sincerità) e dovranno essere quindi attuate in compresenza fisica e in ambienti igienicamente sicuri: occorre quindi un piano di sicurezza uniforme (alla stregua di quelli che si stanno studiando per la ripresa delle attività industriali); e ciò anche per le “giurisdizioni minori” ove si svolge la tutela dei diritti di coloro che hanno meno (ma che pure costituiscono la colonna portante della nostra società), diritti oggi affidati a Giudici onorari privi di mezzi e strutture, dei quali, in questo momento, nessuno si sta occupando. In un mondo in cui le parole chiave saranno la complessità della realtà materiale e sociale e la sostenibilità delle scelte, affinché il sistema di Giustizia nel nostro Paese possa continuare a svolgere la propria funzione, occorre anche che nel prossimo futuro vi siano ancora Avvocati che possano farsi portavoce delle richieste di tutela da parte dei Cittadini, in forza della propria autonomia e indipendenza: autonomia e indipendenza che a loro volta presuppongono la sostenibilità anche economica della nostra professione. Ciò richiede un sostegno concreto alle attività professionali da parte del Governo. Ma impone anche agli Avvocati Italiani la responsabilità di essere, ora più che mai, adeguati alla propria funzione; e richiede alle loro rappresentanze la capacità di leggere la complessità del nostro tempo e la lungimiranza di dare attuazione, oltre ad interventi di aiuto individuale del gran numero di Colleghi che non riescono a sopravvivere economicamente, a investimenti strategici e strutturali volti piuttosto a rendere “sostenibili” i nostri studi professionali e la funzione sociale che siamo chiamati a svolgere. Occorre dunque che la nostra Avvocatura si interroghi, immediatamente e in modo strategicamente consapevole, sul ruolo che intende svolgere e sui mezzi che può e intende mettere in campo (per investire nella formazione e nell’innovazione tecnologica) così da concorrere alla crescita della nostra Comunità e del nostro sistema socio-economico all’uscita da questa emergenza. È un compito arduo ma necessario, al quale sono chiamate tutte le componenti di rappresentanza forense e che richiede, ora più che mai, una grande propensione all’ascolto reciproco e una straordinaria capacità di fare sintesi insieme, al fine di agire unitariamente e sinergicamente per il perseguimento degli obiettivi primari e condivisi. L’alternativa è la rinuncia ad un sistema di Giustizia equo e solidale, basato sulla sostanziale parità delle parti, ed il rafforzamento delle posizioni forti a discapito degli “ultimi”. È quindi una battaglia di democrazia e civiltà giuridica che dobbiamo tutti urgentemente affrontare a viso aperto e senza remore. *Coordinatore dell’Organismo Congressuale Forense