I libri di storia e i racconti degli anziani tratteggiano ancora la Linea Gotica che i Nazisti protesero da un mare all’altro a protezione del nord Italia.

Per tutto l’autunno e l’inverno del 1944 e per i primi mesi del 1945 l’Italia restò spezzata in due : da una parte il Regno, liberato dagli Alleati con un tributo di sangue relativamente contenuto, dall’altra la Repubblica di Salò con la feroce presenza occupante, la Resistenza e una scia di sangue e dolore che si esaurì solo molto tempo dopo. La nostra realtà quotidiana richiama quel periodo : da una parte il Centrosud, dove i cannoni del virus sono echi attenuati, dall’altra il Nord con i suoi epicentri di morte.

Ma c’è un’altra linea che spezza ulteriormente i territori non in senso geografico, ma sociale. Da una parte ci sono i garantiti : i dipendenti pubblici e della grandi imprese e i pensionati.

Un blocco sociale forte che vive il rallentamento senza ansie economiche ed è preoccupato solo della propria sicurezza sanitaria.

Dall’altra i lavoratori autonomi e gli imprenditori : noi le mitiche “partite iva”, che con sacrificio e rischio quotidiano garantiamo, con i tributi che togliamo dai nostri conti correnti e con le accise che paghiamo ad ogni rifornimento dei nostri mezzi di trasporto, lo Stato sociale.

Non è una canzonetta : se passiamo una vita in vacanza e non produciamo non solo mandiamo in malora i nostri studi e le nostre famiglie, ma trasciniamo nel burrone tutti.

Eppure non esiste consapevolezza di questo rischio : la nostra carenza di reddito viene vista anche dal Governo come un problema individuale, risolvibile con lo strumento del credito agevolato e una dilazione dei carichi fiscali.

Si tratta di cure puramente palliative, che possano allungare l’agonia ma non costituiscono neppure l’abbozzo di una terapia.

Se aspettiamo il rischio 0 prima di riaprire dovremmo aspettare, come si sta pensando di fare per la Scuola, il prossimo autunno.

E’ una scelta di cautela e di lungo periodo , dicono alcuni. Ma in economia, come diceva Keynes “nel lungo periodo saremo tutti morti “.

Chiudere due mesi i Tribunali è una misura esiziale per il 70% ( e forse esagero, ma per difetto) degli avvocati italiani. Non solo perché significa rimanere a stecchetto per otto settimane, con le bollette e i costi fissi di studio da pagare, ma perché senza cause e senza possibilità di gestire lo stragiudiziale ( le imprese sono chiuse o agonizzanti, i privati chiusi in casa) i nostri risparmi rischiano un’erosione insanabile. Inoltre i clienti , sia quelli del ramo commerciale che quelli del ramo privato, una volta viste rinviate alle Calende Greche le loro cause, rischiano di dimenticarle, di disaffezionarsi completamente all’avvocato, visto come un costo da tagliare per un servizio che neppure lo Stato reputa essenziale.

Di contro c’è la serafica serenità dei cancellieri in lavoro agile e la fideistica fiducia nei magistrati nel processo virtuale, dove comodamente dalla propria scrivania si può gestire con il computer fornito dall’amministrazione e il tecnico pagato dal contribuente il carico pendente, senza la scocciatura dei postulanti togati. E’ un atteggiamento umano, ma non lungimirante e ben poco sensato. E’ la chiusura egoistica nel proprio recinto : è un “io resto a casa”, seguito da due impliciti corollari : “tanto posso pagare il mutuo” e “comunque sul conto mi arriva puntuale lo stipendio”.

Ma quando i rumori fuori dalle finestre cominceranno ad aumentare e non basteranno più i gesti di beneficienza spettacolare del grande imprenditore, nessuna casa potrà più essere serena.

«Non chiederti mai per chi suona la campana a morto, suona sempre per te» scriveva John Donne ed Hemingway lo citò per intitolare il suo libro dedicato alla Spagna , nel mezzo di una feroce guerra civile. Speriamo che nessun scrittore debba scriverne ancora.