Alcuni giorni fa, sono uscita dal mio ' privilegiato' isolamento per andare a comprare i giornali all'edicola di piazza Santo Spirito a Firenze. Assolutamente deserta, come mai l'avevo vista, la piazza dell'Oltrarno, dominata dalla spoglia facciata della quattrocentesca basilica brunelleschiana, si presentava in tutta la sua bellezza avvolta nella magia di un silenzio in cui era possibile perfino ascoltare il canto degli uccellini. La bellezza salverà il mondo, dicevo a me stessa.

All’improvviso la visione spettrale di un uomo che procede per strada con una maschera con boccaglio in faccia e con indosso una sorta di tuta da astronauta, mi inquieta, riportandomi, nell'immediato, alla dolente attualità di una tragedia che ha già lasciato sul campo oltre dodicimila morti e il cui numero è destinato ancora a crescere. E, tra di loro, anche medici, infermieri, personale sanitario e del volontariato che, iniquamente, hanno pagato con la vita la loro abnegazione nella presa in carico di pazienti contagiati da un virus sconosciuto e mortifero. Davvero atroce il fatto che questi operatori dell’aiuto siano stati mandati in trincea, nelle corsie degli ospedali, senza neppure essere stati dotati delle necessarie protezioni personali, a partire da idonee mascherine.

Mi affretto a rientrare a casa e rifletto, con preoccupazione, che anch’io sono senza mascherina e che cerco di nascondere alla meno peggio la bocca e il naso con un foulard attorno al collo. Da ormai più di venti giorni cerco disperatamente di procurarmene una nelle varie farmacie della zona: invano. Eppure adesso ci viene detto che, insieme al lavarsi di continuo le mani, sono un’arma imprescindibile di protezione dalla protervia del virus... e neppure riesco a trovare una bottiglietta di Amuchina, di alcool e neppure di lysoform, letteralmente scomparsi. Aspetti inquietanti, senza che ne venga data una ragionevole spiegazione da chi di dovere. Per adesso nessun responsabile.

Come altrettanto inquietante e grave un fatto di cui poco si parla. Ovvero che, in concomitanza con il Coronavirus, tutta l’assistenza sanitaria sul territorio sia stata abbandonata: persone sofferenti di patologie croniche, pazienti in attesa di interventi chirurgici, malati di tumore, anziani non autosufficienti. Per tutti l’invito a non presentarsi negli ambulatori medici, non prevedendosi fino ad ora neppure le visite domiciliari da parte dei medici di famiglia, possibili, forse, solo quando il paziente è a serio rischio. Ergo, nessun più contatto fisico tra medico e paziente, diagnosi e terapie senza visitare il malato, tutto avviene solo a livello telefonico e spesso in maniera frettolosa. Se non sei un paziente Coronavirus, riconosciuto come tale dalle strutture pubbliche, praticamente non esisti come utente del servizio sanitario. Anche su questo dovremo aprire una riflessione molto seria.

Si è fatta strada una qualche narrazione rassicurante, amplificata anche dai social, ovvero che da questo dramma ne usciremo tutti migliori, più bravi e più buoni. Una vulgata che strettamente si connette, nei suoi contenuti, all’altro slogan, quello ufficiale: andrà tutto bene.

Intollerabile continuare a sentirlo, anche solo per pudore, a fronte delle migliaia di vittime e della sofferenza di chi resta, quando ancora non è dato presumere un tempo di uscita dalla crisi e di una ipotetica ripartenza del “Sistema Italia”.

Gli italiani hanno dato, complessivamente, una buona prova come cives, rispettando le decisioni forti di un governo che li ha privati della libertà di movimento, di avere rapporti affettivi, di andare in fabbrica, in ufficio, al cinema ed altro ancora. Si sono chiusi in casa, secondo le prescrizioni imposte, spesso in situazioni forzate e antigieniche, fisicamente e psicologicamente: dove 5- 6 persone possono essere costrette a condividere, a loro rischio e pericolo, cinquanta metri quadri e un solo bagno. Non proprio la miglior misura per contenere il contagio... Facile anche dire: restate a casa, da parte di chi vive in appartamenti lussuosi e in ville con giardino e, allora, il restare a casa può diventare anche una piacevole opportunità. Per adesso, gli italiani si sono fidati e affidati alle parole pubbliche di garanzia del Presidente del Consiglio, ovvero che nessuno sarebbe stato dimenticato. Di certo, la salute resta il primo bene da tutelare. Ma, per favore, basta con parole e promesse, con decreti farraginosi e incomprensibili, con iter burocratici kafkiani, come ad esempio quello, cui stiamo assistendo, delle pratiche Inps. Adesso devono arrivare materialmente soldi in tasca a chi sta perdendo tutto, non elemosina di qualche confezione di pasta o di pomodoro pelato. Servono risposte concrete e dignitose per far fronte alla disperazione e alla rabbia di chi non ce la fa più. Soprattutto urgono certezze e garanzie sul lavoro e sul futuro. Non domani. Adesso.