L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo in queste settimane mette a dura prova tutto l’assetto democratico dello Stato che abbiamo conosciuto fino ad ora. I provvedimenti restrittivi di molti diritti sono accettati dalla popolazione spesso con piena approvazione, talvolta con difficoltà, ma anche con grande rassegnazione, al fine di un interesse comune ed a garanzia di tutti. Ma le regole dello Stato democratico sono un po’ diverse da quelle che hanno potuto utilizzare in Cina.
E sono diverse perché, fra i tanti obiettivi della democrazia, vi è quello di garantire che ogni decisione non sia espressione di una sola persona, ma sia oggetto di condivisione, di controllo ed eventualmente di correzione se non risulti adeguata. Certamente in questa situazione d’emergenza i mutamenti d’indirizzo potrebbero essere considerati fonte di destabilizzazione per una popolazione già provata, ma anche strumento per raggiungere l’obiettivo comune, grazie a tutte le indicazioni utili che provengono da posizioni diverse. D’altra parte, anche da un punto di vista medico- scientifico, quante volte abbiamo visto in questi giorni, dinanzi ad un “nemico” sconosciuto ed invisibile, cambiamenti d’indirizzo, correzioni, precisazioni sul modo di comportarsi ed anche sulle stesse “terapie”.
Altrettanto deve avvenire per quanto riguarda gli interventi normativi, anche in emergenza, con l’obbligo da parte delle istituzioni di adeguarsi molto velocemente al modificarsi della situazione, attraverso un controllo effettivo del Parlamento e delle Regioni. Tante discussioni in questi giorni sono state fatte sulla riduzione dell’attività parlamentare al minimo indispensabile, a “ranghi” ridotti o addirittura alla sua chiusura. Il Parlamento è il perno della democrazia ed il confronto fra i parlamentari e con le minoranze è ancor più essenziale in questa fase, dove le scelte del Presidente del Consiglio incidono anche sulla politica economica del Paese.
E la soluzione deve essere trovata, ora e subito, dallo stesso Parlamento, o con regole draconiane per gli stessi parlamentari ( tamponi a tutti in modo ricorrente e divieto di spostamenti se non da casa alle aule parlamentari, che comunque potrebbe creare problemi di rappresentanza se un intero gruppo, o una sua parte rilevante, fosse positivo al virus) oppure immediata modifica dei rispettivi regolamenti per le situazioni di emergenza, con introduzione del lavoro delle Camere a distanza come ormai attivato da molti parlamenti e dalla stessa Unione europea. Gli strumenti tecnologici ci sono e devono essere immediatamente attivati.
Tutti coloro che in questi giorni hanno usato lo smart working, anche su prescrizione dello stesso Presidente del Consiglio, hanno usato piattaforme con riunioni di 20, 100, fino a 250 persone collegate contemporaneamente ed in grado di intervenire alla discussione. Lo possono fare la Camera ed il Senato con accorgimenti che la tecnologia è in grado di fornire anche a garanzia delle modalità di voto. Il rapporto Stato/ Regioni è stato molto complesso e talvolta conflittuale, mettendo in evidenza, ancora una volta, i limiti del nostro regionalismo dopo la modifica del titolo V. Vi è una confusione di poteri e di competenze che, anche in questo campo, non consente ai Presidenti di Regione di poter contribuire effetti-vamente sulla formazione di norme che incidono sul proprio territorio e sull’attività amministrativa che dovranno gestire, ma, e questa è la cosa più grave, vengono loro sottratti molti dei poteri di decisione. Tanti sono gli esempi evidenziati dalla stampa.
Con il Dpcm del 22 marzo, che blocca tutte le attività economiche, si è attribuito al Prefetto la possibilità di valutare la legittimità o meno dello svolgimento di attività collegate a quelle elencate nell’allegato al provvedimento. Il Presidente di Regione e gli organi regionali sono completamente esautorati, mentre il Prefetto, diventato il fulcro delle decisioni nel territorio, ha solo il compito d’informare i Presidenti di regione di quanto deciso, senza alcuna possibilità di questi di poter intervenire in qualche modo sul contenuto della decisione. Non ci si è domandati se le caratteristiche di un’azienda, la capacità di riconvertirsi per una finalità emergenziale possa essere conosciuta ed indirizzata meglio da chi conosce ed amministra un determinato territorio?
C’è da augurarsi che, di fatto, la lungimiranza ed il senso pratico dei singoli Prefetti induca a confrontarsi costantemente ed in modo collaborativo con gli organi regionali. Il nostro ordinamento si è trovato impreparato dinanzi all’emergenza, ma la nostra inventiva e l’elasticità della Costituzione devono consentire un immediato adattamento al nuovo contesto, con un effettivo intervento del Parlamento, delle minoranze e delle Regioni, sempre a garanzia del rispetto dei principi fondamentali. * Ordinaria di Istituzioni di Diritto Pubblico – Università di Pisa
La tecnologia può aiutare a far funzionare il Parlamento e i prefetti ascoltino le Regioni
L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo in queste settimane mette a dura prova tutto l’assetto democratico dello Stato che abbiamo conosciuto fino ad ora. I provvedimenti restrittivi di molti diritti sono accettati dalla popolazione spesso con piena approvazione, talvolta con difficoltà, ma anche con grande rassegnazione, al fine di un interesse comune ed a garanzia di tutti. Ma le regole dello Stato democratico sono un po’ diverse da quelle che hanno potuto utilizzare in Cina.
E sono diverse perché, fra i tanti obiettivi della democrazia, vi è quello di garantire che ogni decisione non sia espressione di una sola persona, ma sia oggetto di condivisione, di controllo ed eventualmente di correzione se non risulti adeguata. Certamente in questa situazione d’emergenza i mutamenti d’indirizzo potrebbero essere considerati fonte di destabilizzazione per una popolazione già provata, ma anche strumento per raggiungere l’obiettivo comune, grazie a tutte le indicazioni utili che provengono da posizioni diverse. D’altra parte, anche da un punto di vista medico- scientifico, quante volte abbiamo visto in questi giorni, dinanzi ad un “nemico” sconosciuto ed invisibile, cambiamenti d’indirizzo, correzioni, precisazioni sul modo di comportarsi ed anche sulle stesse “terapie”.
Altrettanto deve avvenire per quanto riguarda gli interventi normativi, anche in emergenza, con l’obbligo da parte delle istituzioni di adeguarsi molto velocemente al modificarsi della situazione, attraverso un controllo effettivo del Parlamento e delle Regioni. Tante discussioni in questi giorni sono state fatte sulla riduzione dell’attività parlamentare al minimo indispensabile, a “ranghi” ridotti o addirittura alla sua chiusura. Il Parlamento è il perno della democrazia ed il confronto fra i parlamentari e con le minoranze è ancor più essenziale in questa fase, dove le scelte del Presidente del Consiglio incidono anche sulla politica economica del Paese.
E la soluzione deve essere trovata, ora e subito, dallo stesso Parlamento, o con regole draconiane per gli stessi parlamentari ( tamponi a tutti in modo ricorrente e divieto di spostamenti se non da casa alle aule parlamentari, che comunque potrebbe creare problemi di rappresentanza se un intero gruppo, o una sua parte rilevante, fosse positivo al virus) oppure immediata modifica dei rispettivi regolamenti per le situazioni di emergenza, con introduzione del lavoro delle Camere a distanza come ormai attivato da molti parlamenti e dalla stessa Unione europea. Gli strumenti tecnologici ci sono e devono essere immediatamente attivati.
Tutti coloro che in questi giorni hanno usato lo smart working, anche su prescrizione dello stesso Presidente del Consiglio, hanno usato piattaforme con riunioni di 20, 100, fino a 250 persone collegate contemporaneamente ed in grado di intervenire alla discussione. Lo possono fare la Camera ed il Senato con accorgimenti che la tecnologia è in grado di fornire anche a garanzia delle modalità di voto. Il rapporto Stato/ Regioni è stato molto complesso e talvolta conflittuale, mettendo in evidenza, ancora una volta, i limiti del nostro regionalismo dopo la modifica del titolo V. Vi è una confusione di poteri e di competenze che, anche in questo campo, non consente ai Presidenti di Regione di poter contribuire effetti-vamente sulla formazione di norme che incidono sul proprio territorio e sull’attività amministrativa che dovranno gestire, ma, e questa è la cosa più grave, vengono loro sottratti molti dei poteri di decisione. Tanti sono gli esempi evidenziati dalla stampa.
Con il Dpcm del 22 marzo, che blocca tutte le attività economiche, si è attribuito al Prefetto la possibilità di valutare la legittimità o meno dello svolgimento di attività collegate a quelle elencate nell’allegato al provvedimento. Il Presidente di Regione e gli organi regionali sono completamente esautorati, mentre il Prefetto, diventato il fulcro delle decisioni nel territorio, ha solo il compito d’informare i Presidenti di regione di quanto deciso, senza alcuna possibilità di questi di poter intervenire in qualche modo sul contenuto della decisione. Non ci si è domandati se le caratteristiche di un’azienda, la capacità di riconvertirsi per una finalità emergenziale possa essere conosciuta ed indirizzata meglio da chi conosce ed amministra un determinato territorio?
C’è da augurarsi che, di fatto, la lungimiranza ed il senso pratico dei singoli Prefetti induca a confrontarsi costantemente ed in modo collaborativo con gli organi regionali. Il nostro ordinamento si è trovato impreparato dinanzi all’emergenza, ma la nostra inventiva e l’elasticità della Costituzione devono consentire un immediato adattamento al nuovo contesto, con un effettivo intervento del Parlamento, delle minoranze e delle Regioni, sempre a garanzia del rispetto dei principi fondamentali. * Ordinaria di Istituzioni di Diritto Pubblico – Università di Pisa
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