Onorevole Ceccanti, tra contagi e quarantene, anche il Parlamento è stato commissariato dal virus e ogni scelta sembra essere schiacciata sul governo. È anche la nostra democrazia parlamentare ad essere sospesa in questa fase così difficile?

Non parlerei di democrazia sospesa. Esiste però un problema: nel nostro ordinamento non è prevista una regolamentazione degli stati di emergenza. Essa si dovrebbe muovere, come accade in altri Paesi, tra due esigenze: da una parte un approccio realistico per cui un certo grado di concentrazione del potere e di limiti ai diritti è comunque inevitabile per tutta la fase in cui l’emergenza perdura; dall’altra parte, però, è bene che si possano far valere, ove necessari, dei limiti o comunque che vi siano sedi di controllo in cui si possano prospettare critiche e correttivi. Il diritto nasce dal fatto, ma non ogni fatto, deve produrre diritto. Dal momento che non abbiamo questa regolamentazione, ci stiamo muovendo in modo pragmatico rispettando comunque, nella sostanza, quelle esigenze di cui parlavo. Questo pragmatismo, però, rischia di andare incontro, nella prosecuzione dell’emergenza, ad alcune impasse non facilmente risolubili perché cadiamo in una sorta di comma 22. Dovremmo cambiare alcune procedure per dar vita subito a un diritto di emergenza, ma non siamo in grado di farlo con le regole vigenti proprio a causa dell’emergenza. Per spiegarmi mi limito al diritto parlamentare: le norme vigenti non ci consentono con tutta probabilità di arrivare al quorum di validità delle sedute per convertire i decreti. Ma poi, qualora anche si raggiungesse, la composizione potrebbe essere casuale, sia dal punto di vista politico sia territoriale. Che accade se casualmente risultano positivi o devono stare in quarantena più parlamentari di maggioranza che non di opposizione? Rischiano di passare emendamenti in modo casuale che in situazioni normali non passerebbero. Bisognerebbe cambiare quindi il Regolamento, ma per cambiarlo occorrerebbe la maggioranza assoluta e ricadremmo quindi nei dilemmi precedenti. Siamo al noto paradosso delle riforme: occorrerebbero riforme per un sistema in crisi, ma siccome il sistema è in crisi non è in grado di riformarsi. Siamo quindi tutti chiamati a un necessario sforzo di creatività oltre che di pragmatismo.

Lei sostiene la strada creativa del voto a distanza. È costituzionalmente percorribile e come potrebbe funzionare? Nelle Camere non solo si vota, ma si dovrebbe anche discutere.

Sì, lo è. Non solo perché il Parlamento ha una sua autonomia e vi è una sostanziale insindacabilità degli interna corporis, ma anche perché il concetto di presenza di cui si parla all’articolo 64 della Costituzione, almeno in periodo di emergenza, si può intendere in senso ampio, come connessione. Non stiamo facendo la stessa cosa per sessioni di laurea, lezioni a distanza, per varie attività di Governo? Oltre alla questione del voto c’è però anche quella del dibattito che non può essere compresso oltre misura. In vario modo alcuni costituzionalisti, tra cui Clementi, Curreri e Fusaro, hanno elaborato un modello in cui l’Aula, a causa delle sue dimensioni, può solo votare a distanza, ma in cui una Commissione speciale con poteri redigenti può e deve anche discutere e votare gli emendamenti in videoconferenza. Con 50 deputati o 25 senatori è possibile. Ovviamente, a causa della logica da comma 22 di cui parlavo prima, non si può farlo ora con norma regolamentare, andrebbe approvato con una circolare presidenziale dopo parere unanime della Giunta del Regolamento.

Il presidente della Camera, Roberto Fico, ha già detto che non è permesso dal Regolamento. C’è margine per derogare?

Man mano che l’emergenza di protrae tutti siamo costretti a rivedere posizioni iniziali più intransigenti perché senza pragmatismo rischiamo un’eterogenesi dei fini: ci irrigidiamo sugli strumenti per difendere i principi, ma facendo così poi neghiamo forza ai principi perché finiamo nell’impotenza. Come i francesi che hanno voluto votare a tutti i costi per il primo turno e ora non sanno cosa fare col secondo. Sulla presa di posizione di Fico e sul perché essa sia facilmente reversibile ha già ben motivato il professor Curreri sul sito www. libertaeguale. it e su www. lacostituzione. info

Il Pd è pronto a intestarsi questa battaglia, anche contro gli alleati?

Questa è una battaglia culturale e politica per la difesa del Parlamento, della sua possibilità reale di discutere e votare, va fatta all’unanimità dei gruppi. Credo che ci riusciremo perché i colleghi che sono ancora contrari capiranno che l’alternativa è la totale espropriazione del Parlamento e la reiterazione dei decreti legge. Loro sono in buona fede sulla difesa dei principi e se l’emergenza fosse breve potrebbero anche avere ragione, ma purtroppo breve non è.

C’è il rischio che la nostra forma di democrazia sia snaturata, quando la crisi sanitaria finirà?

No, però a quel punto avremo il dovere di riflettere a freddo sul diritto costituzionale dell’emergenza che ci preservi da rischi futuri, con le necessarie modifiche costituzionali e regolamentari. Potremo prendere la circolare interpretativa e trasformarla in una modifica del Regolamento, stabilendo ad esempio i limiti temporali di queste procedure in Commissione redigente e in Aula. Una riforma costituzionale potrebbe completare il quadro, andando oltre i limiti possibili per il Regolamento, consentendo che la Commissione redigente possa essere bicamerale, magari anche con poteri deliberanti che poi l’Aula potrebbe sanare una volta superata l’emergenza. Potrebbe anche consentire la delega del voto, ma non al capogruppo, magari ad un collega che ne potrebbe avere una sola: la delega al capogruppo comprime il pluralismo interno, non è un limite alla logica emergenziale. Insomma molte cose si possono pensare e valutare laicamente, il punto chiave è però la scelta di partenza: per non snaturare si deve innovare. È il peccato di omissione che può condurre, nonostante le intenzioni opposte, proprio allo snaturamento.