È probabile che l'Italia stia per affrontare la crisi peggiore conosciuta dal Paese dal dopoguerra a oggi. Si somma e si intreccia una serie di concause, alcune preesistenti al detonatore Coronavirus, altre provocate dal virus stesso, tutte coronate dall'emergenza sanitaria che è la più grave ma non la sola e forse non quella destinata a rivelarsi più longeva.La reazione del governo è stata segnata da numerose falle ed errori. In parte non poteva che essere così. L'Italia è in realtà il primo Paese democratico e occidentale ad affrontare il nuovo virus, del quale in realtà si sa ancora poco e pochissimo si sapeva all'inizio del contagio, senza la possibilità di procedere con i metodi della Cina. Oscillazioni e sbagli erano dunque inevitabili. Il paese non era affatto pronto a fronteggiare una simile emergenza e non per colpa di questo governo. Il caos nel rapporto tra Stato centrale e amministrazioni locali data da vent'anni, ma senza un caso estremo come questo nessuno aveva mai provato infilare le mani in quel ginepraio risolvendo i conflitti di gestione determinati dalla riforma costituzionale del 2001. L'insufficienza delle strutture sanitarie è figlia di decenni di tagli operati, sia pure in misura diversa, dai governi di ogni colore, sia a livello centrale che di amministrazioni locali. Soprattutto, l'Italia è arrivata all'appuntamento con una sfida che richiederebbe massima e rapida capacità di intervento anche drastico da parte dello Stato dopo che per decenni la cultura politica diffusa aveva considerato lo Stato centrale un impaccio dal quale liberarsi. E lo stesso discorso vale per l' "irresponsabilità" dei cittadini. In alcuni casi, forse anche in molti, quella scarsa responsabilità si è riscontrata davvero ma non si poteva certo pensare che la distruzione metodica di ogni spazio pubblico, la progressiva sottrazione di ogni partecipazione democratica attiva restassero senza conseguenze nelle mentalità e nei comportamenti diffusi.Di attenuanti il governo Conte può impugnarne molte. Ma si tratta appunto di attenuanti. In troppe occasioni, in queste prime settimane di una crisi che si annuncia lunga, la catena di comando è apparsa inesistente. Le decisioni sono state prese in ritardo. I conflitti decisionali si sono moltiplicati. La comunicazione, che in circostanze come queste è decisiva, si è rivelata forse il fronte più fallimentare. E' del tutto evidente che misurarsi con una simile emergenza in condizioni simili sarebbe disastroso. Anche perché possibile e anzi probabile che le cose peggiorino, almeno sul breve periodo. I reparti di terapia intensiva e subintensiva sono già allo stremo e il famoso "picco" slitta di settimana in settimana. La crisi economica morderà anche prima e più a fondo del previsto. La rivolta delle carceri, come la sgangherata fuga da Milano di sabato sera, sono anche segnali d'allarme precisi: con una marea di giovani che stanno già perdendo il lavoro e una fiducia nel governo che scema di giorno in giorno il disagio rischia di esplodere.Il caso ha voluto che a dover gestire la crisi peggiore sia, per motivi noti, il governo più debole della storia repubblicana. La debolezza, in questo caso, si traduce immeditamente in caos, in ritardi e anche in scelte sbagliate, o arrivate troppo tardi, perché influenzate dalla paura della reazione dell'opposizione politica o e di quella delle Regioni. Situazione resa ovviamente più grave dal fatto che i governatori delle Regioni interessate sono, quasi tutti, esponenti del'opposizione.Nel suo messaggio alla nazione il capo dello Stato ha chiesto a tutti di riconoscere nel governo la "cabina di regia". E' una richiesta comprensibile, dettata dalla necessità di individuare un timoniere nella tempesta ma anche dalla speranza che il riconoscimento del ruolo permettesse al governo d diventare realmente quella "cabina di regia". Implicitamente quell'intervento non cassava solo la richiesta leghista di un governo di unità nazionale ma derubricava anche a fattore auspicabile ma secondario la creazione almeno di un tavolo consultivo permanente governo-opposizione attraverso il quale cercare di mettere in opera una reazione unitaria dell'intera politica nazionale. Anche in questo caso è chiaro che a dettare quella linea a Mattarella è stata una preoccupazione fondata: quella di rendere, dato il clima di conflittualità massima tra maggioranza e opposizione, tutto non più rapido e drastico per quella via ma, al contrario, di ottenere un effetto paralizzante. Non si può dire che il primo esito dell'appello del presidente, cioè il Dcpm di sabato, abbia raggiunto gli esiti sperati. In queste condizioni sarebbe forse il caso di cominciare almeno a chiedersi se, senza una modifica sostanziale anche se temporanea nei rapporti tra maggioranza e opposizione, il governo possa davvero svolgere quel compito di "regia" senza il quale domare la crisi sarà sicuramente più lungo e più difficile ma forse anche impossibile.