C’è un confronto di due atteggiamenti nei rispetti della prescrizione che lasciano trasparire delle prospettive ben più profonde. Da un lato c’è chi pensa che stabilire dei tempi non brevi per far venir meno l’interesse dello Stato a punire il colpevole, sia un’ingiustizia sociale. Dall’altro c’è chi ritiene che condannare all’“ergastolo processuale” un individuo incappato nelle maglie della giustizia sia un’offesa allo stesso valore, cioè la giustizia sociale (il processo è di per sé una pena).

Ma per fare il bene, lo dice Manzoni a proposito di donna Prassede, bisogna conoscerlo. Diamo questo piccolo contributo relativo ai principi generali: la pena deve tendere alla rieducazione del condannato (art. 13 c. 4 Cost.). È pensabile di educare un individuo punendolo per un fatto compiuto quindici o vent’anni prima?

Il processo deve avere una durata ragionevole (artt. 111 Cost. e 6 CEDU): è accettabile che duri per quindici o vent’anni?

Esiste la presunzione di non colpevolezza fino a sentenza definitiva (art. 27 Cost.). Distinguere, come è stato anche proposto, tra condannati e assolti in primo grado non crea una disparità oltre tutto inconcepibile ai sensi dell’art. 3 della Cost. che ci vuole tutti uguali? (almeno quanto ai diritti).

Fino alla riforma della prescrizione resa attualmente in vigore viene meno il vero baluardo esistente alle lungaggini dei processi per le quali abbiamo dovuto rendere conto in sede sovranazionale.

Un processo che si possa presumere senza fine certa è d’altronde un danno anche per le vittime o i loro parenti, se decedute, i quali possono avere soddisfazione morale e pecuniaria solo con la sentenza definitiva.

Fare d’altra parte riferimento al calcolo della prescrizione non ai reati ma al fatto che l’imputato sia stato assolto o condannato in primo grado è costituzionalmente inaccettabile.

Dunque, un processo celere è l’unica soluzione che garantisce i diritti all’imputato e alle parti offese consentendo la determinazione dei tempi in cui lo Stato non ha più interesse a punire il reo.

Ovviamente per accorciare i tempi, occorre un particolare equilibrio normativo che non conculchi i diritti di alcuno, per esempio abolendo il secondo grado di giudizio o prevedendo la reformatio in peius del condannato in primo grado che impugni la decisione.

Il dibattito, per la verità ancora aperto, ha mostrato due aspetti che vedo positivamente: primo, si è rotto il fronte unitario che normalmente la magistratura, attraverso quelli che si espongono al dibattito pubblico, manifesta nei confronti delle decisioni politiche in materia forense. Mentre in generale essa si è detta favorevole nei confronti delle decisioni governative, alti magistrati hanno segnalato invece quali possono essere le ricadute sotto il profilo della gestione giudiziaria della res publica, ove ci si appoggi a una prescrizione praticamente bloccata. Quello che non si dice è che i magistrati in generale non amano che un processo si prescriva nel loro grado di giudizio – accadono così talvolta, delle forzature come dichiarare inammissibile un’impugnazione non così sballata in modo che non sia applicabile la prescrizione - e questo li spinge ad accelerare la fissazione del processo. Nella cartellina del dossier giudiziario c’è spesso scritto “si prescrive il…”, monito per fissare l’udienza tenendo conto della scadenza.

Secondo aspetto positivo: la voce degli avvocati si è fatta sentire alta e forte con varie iniziative mediaticamente incisive. Quello che va sottolineato è che gli avvocati sono avvocati di tutti quindi non solo, come è visto tradizionalmente, dell’imputato, ma anche delle vittime e delle parti offese; la protesta che essi esprimono è rivolta anche in loro favore.

Restiamo allora in attesa di una revisione generale del processo penale cui conseguirà una revisione dei tempi delle prescrizioni ma, ripeto, basate sui tipi e la qualità del reato e non sul tipo della qualità della persona (assolta o condannata) che si suppone lo abbia compiuto.