Il professore Gian Luigi Beccaria arrivò a dare al termine “scilipotismo” questa definizione: “Chi cambia improvvisamente opinione per interesse personale”, afferma Domenico Scilipoti, ex senatore di Forza Italia e presidente di Unione cristiana. Senatore, ha visto? In questo ore di crisi per il governo Conte tutti la citano. E’ stato sufficiente che il dem Goffredo Bettini indicasse la possibilità che un gruppo di “responsabili” sostituisca Matteo Renzi, e gli esponenti di Italia viva, per rievocare quanto accadde ormai dieci anni orsono. Anche allora il Paese stava attraversando un periodo complicato. Si, però vorrei ricordare cosa accadde in concreto quell’anno. Prego. Siamo tra il 9 ed il 14 dicembre 2010. Gianfranco Fini, presidente della Camera, si fa promotore di una mozione di sfiducia nei confronti del governo Berlusconi IV. Oltre a Fli, il partito fondato all’epoca da Fini, la mozione è appoggiata dall’Udc, dal Pd e dall’Italia dei valori di Antonio Di Pietro. Il 14 dicembre la mozione di sfiducia è respinta. 314 voti contro e 311 a favore. Fra i voti contrari c’è il suo Certo. Ma nessuno ricorda che ci furono 15 deputati che votarono in maniera contraria alle indicazioni fornite dai partiti che avevano consentito loro l’accesso in Parlamento. Ricordiamolo adesso. Sei deputati eletti nell’Udc, Giuseppe Drago, Calogero Mannino, Michele Pisacane, Saverio Romano, Giuseppe Ruvolo e Francesco Pionati , 2 deputati eletti nel Pd, Massimo Calearo e Bruno Cesario, 3 deputati eletti nell’Idv, io, Antonio Razzi e Americo Porfidia. A questi si aggiunsero 3 deputati che in precedenza avevano aderito a Fli: Giampiero Cotone, Catia Polidori e Maria Grazia Siliquini. Senza contare l’astensione di Silvano Moffa (Fli). Quindi si sarebbe potuto parlare di “calearismo”, “moffismo”, “draghismo”, ecc., sbaglio? Esatto, la scelta cadde invece su “scilipotismo”. Ma da questa sua decisione di votare contro la sfiducia al governo Berlusconi ha avuto qualche vantaggio personale, come la vulgata in questi anni ha raccontato? Premesso che valeva e vale il divieto di mandato imperativo sancito dall’articolo 67 della Costituzione che dovrebbe salvaguardare dal marchio del “venduto”, io non ebbi alcun tornaconto per la mia decisione. Nel corso dell’anno di sopravvivenza del governo Berlusconi IV non ebbi incarichi di governo e non fui capogruppo del neo-costituito gruppo parlamentate “Popolo e Territorio”. Dunque, nessun vantaggio per la sua scelta? Nessuno. Entrai nel gruppo misto della Camera dopo aver fondato una nuova associazione politica denominata “Movimento di Responsabilità nazionale” con cui intrapresi forti battaglie politiche, anche in contrasto con il Popolo della libertà. E non sostenni il successivo governo Monti a cui il Pdl, insieme a Fli e Pd, garantì la fiducia. Che fine hanno fatto i “trasformisti” dell’epoca? Non c’è più traccia nella vita politica del Paese. Come si spiega, a distanza di anni, questo continuo evocarla in senso negativo? In un ritratto di Vittorio Buttafuoco su Il Foglio anni fa si addussero motivi antropologici, fisiognomici e/o culturali per spiegare tanto accanimento nei miei confronti. Per la cronaca, quella fu una stagione record per i cambi di casacca. Nella XVI legislatura furono 116. Il 20 percento dei deputati. Il primo fu Jean Leonard Touadi, che il 15 luglio 2008, si era votato ad aprile, lasciò l’Idv per passare con il Pd. L’ultimo fu Savino Pezzotta, che un mese prima delle elezioni, il 17 gennaio 2013 dall’Udc transitò al gruppo misto. Da quel dicembre 2010 “Scilipotismo”, comunque, ha un’accezione molto negativa. Difficile far cambiare idea. Purtroppo. In questi dieci anni nessuno mi ha mai chiamato per una revisione o una verifica di quanto fosse offensivo tale termine, per me e la mia famiglia, per una colpa non commessa. Chi cambia opinione in politica è visto con disprezzo. La partigianeria, che avvelena tutto, è evidente. Come vede il governo Conte bis? Il governo e l’attuale maggioranza sono divisi su tutto. Del resto parlare di "metodo Scilipoti"  ora è ampiamente superato. Si può parlare di "metodo Conte" che è riuscito a governare prima con la destra e poi con la sinistra. L’Italia ha bisogno di altro: agevolazioni alle imprese, aiuti alle famiglie, abbassamento del costo del lavoro, investimenti pubblici. Lei è il presidente di Unione cristiana, un movimento che vuole la presenza attiva dei cattolici in politica. Viviamo un tempo di confusione e di relativismo etico e culturale. In questo periodo di liquidità c’è bisogno dei cattolici in politica che sappiano farsi sentire nella società e nelle istituzioni. Ed il rapporto con le altre fedi? Sia pur nel dialogo, abbiamo il dovere di proteggere le nostre origini e tradizioni.