Bailamme deriva dal turco bayram: festa. Subito dopo la festa sanremese è andata in scena quella – ennesima – di Salvini, col bayram che ha preceduto e seguito il voto su di lui al Senato con grande clamore sui giornali, radio, tv, portali e – soprattutto – social. Il baillamme degli avversari di Salvini si sostanzia della sconfitta (?) del capitano con diverse declinazioni, motivazioni, genesi e palingenesi, quello dei suoi sostenitori con altrettante molteplici motivazioni. Nel bayram generale s’infila un’opinione pubblica che trovando nei suddetti media il tamburo battente, si sente autorizzata a esercitarsi sulle speculazioni più varie e spesso audaci, fino all’accostamento di Salvini a Socrate. Ma il capo della Lega non è il maestro di Platone. E la due vicende sono anzi fra loro opposte. Socrate – dopo aver accettato (ché poteva scappare) d’essere giudicato e condannato dai suoi nemici (mortali) – bevve la cicuta per rispettare le leggi (che sono sempre giuste finché altre leggi le sostituiscono) di un governo (seppure ingiusto ai suoi occhi). Un insegnamento riportato – non casualmente – da Platone, per il quale le leggi sono superiori agli uomini. E Senofonte sottolinea come Socrate non si sottrasse a una condanna per un reato d’opinione, quale la sua posizione nei confronti delle divinità tradizionali. Vero è infine che Socrate fosse inviso al governo di Trasibulo (per altro definito “uomo giusto” da Senofonte, e che ebbe certamente il merito di pacificare Atene dopo la guerra civile) per la sua “fastidiosa” prassi democratica del confronto perpetuo. Mutatis mutandis, Salvini non va al processo sulla Gregoretti per difendere il superiore primato delle leggi sugli uomini (tutti gli uomini), ma – questa volta obtorto collo rispetto al precedente della Diciotti del luglio 2018 – in conseguenza delle leggi. E la sua difesa in Senato nulla ha a che spartire con l’atteggiamento che tenne Socrate durante il suo processo. Il vittimismo di maniera messo in scena dal capo della Lega è quanto di più lontano avrebbe mai potuto appartenere a Socrate che, anzi, tenne un atteggiamento di autentica curiosità (com’era suo costume) nei confronti dei suoi accusatori, Mileto in testa: più Mileto s’accaniva contro di lui, più lui aggrottava le sopracciglia per capire perché mai dicesse quelle cose. Il ricorso ai figli con quei toni e quelle immagini pretestuose non s’era mai sentito in un’aula parlamentare. Il lessico usato da Salvini al Senato non solo ha come cifra un populismo che manco Peron, ma sdogana una novità pericolosa: il ricorso ai villi intestinali più che alle celluline grigie, per citare il Poirot della Christie. Nell’aula che dovrebbe ospitare gli “eletti” di un paese, Salvini s’è comportato da “tipo da spiaggia”, (da Papete) e da bullo di periferia (a un citofono). La sua posizione relativamente alla questione Gregoretti è stata – coerentemente – utilitaristica per sua stessa bocca: «Per quello che mi riguarda voglio andare davanti a un giudice e poi riprendere per mano questo paese». Non so se a sua insaputa o al contrario sfacciatamente, ha sbattuto in faccia al Senato il suo obiettivo: trasformare questo “incidente di percorso” in una formidabile occasione elettorale per tornare al potere (per ora relativo, in attesa dell’assoluto). Non ha parlato in difesa delle leggi di uno stato emulando Socrate, ma con l’arroganza di chi minaccia che se mandato a processo, con lui ci andrebbero gli italiani, dimenticando di specificare quali italiani, cioè i suoi elettori (e non tutti, stando a quel che sta succedendo in Veneto). La grande, sostanziale differenza fra Socrate e il capo della Lega sta tutta nel diverso senso delle istituzioni, e il loro accostamento è pura blasfemia. C’è infine il fattore concretezza: vale a dire la possibilità che avvenga quanto annunciato. Sì, perché se Socrate fu processato e condannato alla cicuta, l’innocuo calice amaro di Salvini è lungi dall’essere effettivamente bevuto, perché prima che il capo della Lega sia chiamato a giudizio, è necessario che un pm che chieda il processo e che un gip fissi l’udienza preliminare disponendone il giudizio. Giudici e pm che potrebbero però anche valutare come inconsistenti i presupposti per un processo, decidendo per l’archiviazione. Nel caso poi che procura e tribunale di Catania decidessero l’ammissibilità del processo, bisognerà valutare il coinvolgimento della presidenza del consiglio, oltre che dei ministri della difesa e delle infrastrutture. Insomma, tutto questo show postsanremese potrebbe risultare ulteriormente utile per un Salvini che già senza questi “incidenti di percorso”, staziona nei sondaggi in una posizione che gli consente di guardare tutti dall’alto in basso. E lasciamo stare Socrate, per favore.