«Il governo è ormai in uno stato di completa paranoia per le proteste degli ultimi mesi, quindi arresta tutti gli attivisti politici».

A delineare i contorni della repressione in atto in Egitto, che continua e si perpetua a danno di migliaia di egiziani, è l’avvocato Mohamed Lofty, direttore della Commissione egiziana per i diritti umani e le libertà nonché consulente della famiglia di Giulio Regeni.

È lui a raccontare gli ultimi sviluppi dell’arresto di Patrick George Zaky, prelevato dalle forze di sicurezza giovedì scorso appena atterrato all’aeroporto del Cairo. Il 27 enne egiziano copto, in Italia dall’agosto scorso per seguire il master in Gender studies dell’Università di Bologna, è comparso ieri davanti a un pubblico ministero a Mansoura.

«Secondo i colleghi che seguono Zaky i giudici hanno contestato all’attivista una serie di imputazioni improprie, sulla base di accuse contenute in un rapporto della polizia secondo cui sarebbe stato arrestato ad un posto di blocco nella sua città natale lo scorso settembre. Cosa impossibile avendo Patrick lasciato il paese nell'agosto del 2019 per iniziare i suoi studi in Italia».

Quali accuse sono state formalizzate?

Nel corso dell'interrogatorio, i pubblici ministeri hanno presentato un elenco di accuse contro Patrick che includono la pubblicazione di false notizie che mirano a disturbare la pace sociale e seminare il caos; istigazione a protestare senza il permesso delle autorità competenti allo scopo di minare l'autorità statale; tentativo di rovesciamento dello Stato; gestione di social media con lo scopo di minare l'ordine sociale e la sicurezza pubblica; istigazione a commettere violenze e crimini terroristici. Sulla base di queste imputazioni la Corte ha disposto la detenzione in custodia cautelare in carcere per 15 giorni nell’attesa di ulteriori indagini.

L’arresto di Zaky è solo la punta di un iceberg. In che contesto è maturato il suo arresto?

Pensiamo che Patrick sia stato arrestato principalmente per i suoi studi in Italia. È stato prelevavo dalla Sicurezza nazionale, il servizio segreto civile, lo stesso coinvolto nel sequestro e nell’omicidio di Giulio Regeni. È stato sottoposto a interrogatori coercitivi con metodi che, purtroppo, conosciamo bene. Gli hanno chiesto del suo viaggio in Italia, del corso di studi scelto e del tipo di attività svolte nel vostro Paese.

Le accuse che gli rivolgono sono molto gravi. Maturate su quali basi?

Nessuna. Non si capisce di cosa lo sospettino davvero, sono imputazioni del tutto infondate.

Quanti altri Patrick sono in carcere in Egitto?

Migliaia. Sono ormai oltre 5 mila le persone arrestate dall’inizio delle rivolte contro il presidente Abdel Fattah al Sisi, la prima protesta lo scorso settembre in piazza Tahrir. Per loro è normale prendere un ragazzo, uno studente, un attivista, un semplice manifestante sbatterlo in galera, farlo scomparire e torturarlo per giorni.

Le proteste sono state silenziate con una vasta repressione che continua anche in queste ore. C’è ancora qualcuno pronto a scendere in piazza?

Non molti, ma il malcontento è molto diffuso. Non è un caso che l’arresto di Patrick sia avvenuto proprio in questo periodo, poco dopo le manifestazioni di piazza Tahrir del 25 gennaio. Ci sono stati moltissimi arresti, chiunque manifesti dissenso viene considerato alla stregua di un terrorista.

Non vengono fermati solo dissidenti e attivisti. Chi rischia di più di finire nelle mire del servizio di sicurezza?

Tutti. Ciò che sta avvenendo è del tutto arbitrario. Arrestano chiunque. Faccio un esempio. Nella fase più calda delle manifestazioni, Sanaa Abdel Fattah, sorella minore del blogger Alaa Abdel Fattah, stava camminando in Piazza Tahrir. La polizia l’ha fermata e le ha chiesto di vedere il suo telefonino, le sue foto. Lei ha rifiutato. L’hanno prelevata con la forza e portata in commissariato. Sua sorella, Mona, è andata lì per avere notizie su di lei ma la polizia le ha detto che non era lì. Per ore non si è saputo nulla di Sanaa e si è temuto il peggio. Suo fratello Alaa scrive molti articoli su Facebook ed è un’icona delle rivolte del 2011. Ha già trascorso cinque anni in carcere e a settembre dello scorso anno è stato nuovamente arrestato con l’accusa di appartenere a nuovi gruppi terroristici, di istigazione alle manifestazioni, finanziamento al terrorismo e non si sa cos’altro. Sua sorella è stata più fortunata. Dopo un lungo interrogatorio è stata rilasciata.

Dall'ottobre 2019, sei membri di EIPR sono stati trattenuti e interrogati dalla polizia, in passato anche esponenti di Ecrf sono stati oggetto di fermi. Rischiate nuove ritorsioni per il vostro lavoro?

Certamente. Siamo tutti a rischio, soprattutto se continuiamo a denunciare gli arresti arbitrari e completamente illegali che apparentemente prendono di mira individui percepiti politicamente attivi. Ma il fenomeno, come potete comprendere voi stessi, è molto più ampio.