Secondo il calendario cinese il 2020 è l’anno del topo, animale ritenuto dalla antica tradizione Han «portatore di prosperità materiale, simbolo di ricchezza e ordine ma anche di fenomeni occulti e pestilenze». Ovviamente, tranne che per i fanatici degli oroscopi, l’epidemia dell’ignoto coronavirus scoppiata in Cina all’inizio dell’anno del Topo è solo una macabra coincidenza ed è agli scienziati, non certo agli astrologi, che bisogna guardare con fiducia. Agli scienziati di tutto il mondo ( formidabili le nostre ricercatrici dello Spallanzani!) e alle istituzioni politiche, in primis quelle cinesi. A tale riguardo molti hanno messo in evidenza che rispetto all epidemia di SARS del 2012/ 13 scoppiata anch essa in Cina e presto diffusasi nel resto del mondo, questa volta il potere politico di Pechino ha reagito con maggior efficacia e trasparenza. E' vero che non ha dato l’allarme con la immediatezza necessaria ( venti giorni dopo il primo caso, ma con la Sars furono tre mesi) però è altrettanto vero che il leader Xi Jinping sta chiamando tutta la imponente struttura del partito- stato al massimo sforzo possibile per debellare il ' demone virus' e rassicurare il popolo cinese e il mondo intero.

L’ordine è stato di mettere in quarantena cinquanta milioni di persone, bloccare i viaggi interni di centinaia di milioni di connazionali, sospendere le sentitissime celebrazioni per il Capodanno, fermare ogni attività nei settori economici non essenziali quali manifestazioni sportive e culturali o viaggi turistici all estero... Un’impresa titanica, rafforzata dall immissione di oltre un trilione (!) di Yuan sul mercato, anche per il partito stato se solo si pensa che i cittadini della Repubblica Popolare sono circa un miliardo e mezzo e che vivono su un territorio di circa diecimila chilometri quadrati, cioè più esteso di cinque volte di Germania, Francia, Spagna e Italia messe insieme.

Quella cinese è una popolazione cinque volte più numerosa di quella statunitense ma ancora caratterizzata, nonostante la crescita a due cifre del PIL degli anni scorsi, da enormi disparità economico- sociali tra grandi città e campagne, tra centri abitati della costa e aree montagnose dell interno. Disparità economiche che si accompagnano a stili di vita ed abitudini profondamente diverse. Whuan, la città da cui è partito il virus, conta undici milioni di abitanti, dista mille duecento chilometri dalla capitale e nei suoi mercati era normale, fino a pochi giorni fa, acquistare vive le specie animali più strane per soddisfare antiche ricette culinarie o curative. Una secolare ' tradizione' scomparsa da anni a Pechino o Shangai.

Se non si hanno presenti le dimensioni e le peculiarità che caratterizzano il continente Cina si rischia di non comprendere appieno la portata dello sforzo in atto, ancor più significativo perché il vertice di Pechino sa bene che le misure adottate comporteranno nell’immediato un costo assai elevato: il PIL potrebbe ridursi nel 2020 dell’uno per cento rispetto al già magro sei per cento stimato. Inoltre la Cina potrebbe perdere affari per sessanta miliardi di dollari a causa dell’emergenza virus.

Quelle adottate sono misure dolorose ma inevitabili. Sono tese a salvaguardare l’immagine internazionale del Paese e la credibilità della sua classe dirigente, anche agli occhi della pubblica opinione interna. Fin dall’inizio del suo mandato, poi divenuto a vita, Xi Jinping ha promesso ai cinesi di farli vivere sempre meglio e di ridurre progressivamente le diseguaglianze. In cambio ha ottenuto obbedienza totale. Come dimostra anche il non intervento di Pechino per reprimere le violente proteste di piazza a Hong Kong, sono lontanissimi i tempi dei carri armati a piazza Tien An Men, ma nessuna apertura è ancora possibile in Cina a proposito di valori quali libertà, democrazia, diritti civili come intesi in Occidente.

Nelle grandi città cinesi sono abituali le pacifiche manifestazioni, specie a difesa dell’ambiente. Anche internet è più libero di quel che comunemente si pensa. Sono fenomeni che si spiegano solo se si ammette che i cinesi apprezzano il loro governo, non hanno alcun desiderio di una democrazia liberale che per altro non hanno mai conosciuto. Finora hanno creduto nella promessa del partito- stato : abbiate fiducia, vi faremo vivere sempre meglio. Già, finora. Xi Jinping sa che la sua credibilità rischierebbe di incrinarsi se, causa il virus, la Cina perdesse nel mondo l’immagine che ha costruito negli ultimi anni: una superpotenza economica ad altissima tecnologia, un player primario del mercato finanziario globale, un partner commerciale che accetta le regole del WTO, un Paese che assicura totale stabilità interna e non minaccia militarmente i vicini asiatici, giapponesi e coreani in primo luogo.

Tutto ciò nonostante il partito comunista, unico partito esistente, sia al potere da settant'anni e la parola elezioni sia sconosciuta.

È un dato di fatto che perfino Trump, volente o nolente, ha finito per riconoscere e che per Pechino è il valore da difendere ad ogni costo. Per questo Xi Jinping sta facendo quel che il suo predecessore ai tempi della Sars Hu Jintao nemmeno poteva immaginare. Ha chiesto aiuto al mondo e ha pubblicamente ringraziato chi, come l’Italia, lo ha fatto. Ha aperto le porte alla informazione libera concedendo visti di ingresso alle centinaia di giornalisti occidentali che sono attualmente all opera in Cina. Finanche i servizi della TV di stato e le pagine del Quotidiano del popolo sono pieni di notizie ed informazioni , anche se per lo più sono volte a garantire che Whuan e la Cina sconfiggeranno il demone.

C’è di che riflettere. Circa cinquanta anni fa Nixon si senti rispondere da Chu En Lai, alto papavero del regime comunista, che era troppo presto, per esprimere un giudizio sulla... rivoluzione francese! Sembra incredibile ma è vero. Il virus conferma che chi comanda oggi a Pechino non pensa più che ' il trascorrere del tempo è un battito d ala di farfalla' ( Mao Tse Tung).