E adesso questa entità impalpabile, con un diametro che varia tra 20 e 300 nanometri, e ogni nanometro è pari a un miliardesimo di metro, aleggiando spazia dovunque: nell’attesa di infilarsi capricciosamente nei polmoni del primo che capita a tiro.

Contemporaneamente - come i virus, appunto - l’immaterialità si tramuta, e aggredisce quanto di più imponente e solido ci riguarda: l’apparato industriale, costretto a bloccarsi e a strozzare perfino una delle economie più potenti al mondo come quella cinese.

Dunque mentre non dobbiamo cedere agli allarmismi e al corto circuito mentale che ci fa vedere un infetto o, peggio, un untore in chiunque abbia tratti somatici asiatici, non possiamo non domandarci: che succede, di cosa dobbiamo avere davvero paura, da cosa e come dobbiamo difenderci? La mondializzazione, l’interconnessione da villaggio globale come avrebbe detto Umberto Eco, ci circonda e avvinghia. Sottrarsi non solo è impossibile: sarebbe disastroso. Perché l’altra faccia della globalizzazione è che oggi possiamo salvaguardarci in modo enormemente più efficace rispetto al passato: e proprio in virtù dello scambio in tempo reale di scienza, conoscenza e capacità.

Piuttosto colpisce la paradossalità di frontiere terresti e aeree blindate per fronteggiare patologie eteree ed incorporee. Sono due facce della stessa medaglia dei tempi che viviamo.

Ecco, ma allora che si deve fare? L’attesa è per il vaccino, invincibile scudo stellare contro la pandemia. Nelle nostre menti e nei nostri cuori, dobbiamo tenere unite due dimensioni ognuna delle quali, da sola, può infettare razionalità e civiltà. La prima è che l’umanità sempre più è senza barriere, nel bene e nel male. La seconda, che questa situazione è sinonimo di nuove opportunità ed eterne fragilità.

Il vaccino migliore è la profilassi dei nostri sentimenti e la razionalità dei comportamenti. Mettendo al bando al tempo stesso paura e fanatismi.