«Il ministero della Giustizia ha investito la maggior parte delle proprie energie puntando sul lavoro dei detenuti, come forma privilegiata di rieducazione». Lo ha ricordato il Guardasigilli Alfonso Bonafede nella sua relazione al Parlamento ricordando che, alla data del 30 giugno scorso risultano 16.850 detenuti lavoranti, «frutto anche dei circa 70 protocolli con Enti per lavori di pubblica utilità».

Però secondo l’esponente del Partito Radicale Rita Bernardini le cose non stanno così. E per rispondere ha preso i dati proprio sul sito istituzionale del ministero della Giustizia. Al 31 dicembre 2017, risultavano 15.924 detenuti lavoranti alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria e 2.480 detenuti lavoranti non alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria. Quindi risultavano 18.404 detenuti lavoranti su 57.608 detenuti presenti, pari al 32%. Però al 30 giugno del 2019, risultano 14.391 detenuti lavoranti alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria, 2.459 detenuti lavoranti non alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria. Il totale è presto detto; 16.850 detenuti lavoranti su 60.522 detenuti presenti, pari al 28%. «Ciò significa – denuncia Rita Bernardini – che in un anno e mezzo, con i governi Conte I e Conte 2 sono stati persi 1.554 posti di lavoro in carcere».

Il ministro, davanti alla Camera, ha anche voluto sottolineare che la «finalità principale» è quella di «migliorare contemporaneamente, da un lato, le condizioni di lavoro della polizia penitenziaria e di tutti coloro che operano all’interno delle strutture; dall’altro lato, le condizioni di vita dei detenuti». Per questo, «le risorse riconosciute per il finanziamento degli interventi a cura dell’amministrazione, per gli anni dal 2018 al 2033, ammontano a poco meno di 350 milioni di euro per creare nuovi posti detentivi e per aumentare la sicurezza degli istituti penitenziari e ammodernare tutto il sistema impiantistico e le dotazione della Polizia Penitenziaria». Il guardasigilli ha anche evidenziato che per la prima volta un ministro della Giustizia predispone, in modo strutturale, un capillare monitoraggio sulle ingiuste detenzioni, ricordando che «per quanto concerne il tema delle ingiuste detenzioni, su mio diretto impulso, nei primi mesi del 2019 è stato ampliato lo spettro degli accertamenti dell’Ispettorato generale sulla applicazione e gestione delle misure custodiali, estendendo la verifica a tutte le ipotesi di ingiusta detenzione e non soltanto alle cosiddette scarcerazioni tardive». L’Ispettorato, nei primi mesi del 2019, ha provveduto dunque, «all’acquisizione dei dati di flusso relativi ai procedimenti iscritti nell’ultimo triennio ( 2016- 2018) presso le Corti d’Appello, che permettono di valutare analiticamente l’incidenza delle domande indennitarie su base distrettuale, oltre che nazionale e aggregata per macroaree omogenee». Per quanto riguarda le strutture per detenute con figli, Bonafede non fa cenno alle case famiglia, ma alle Icam, spiegando che sono «in corso di esecuzione due progetti finalizzati all’apertura di nuove sedi, rispettivamente a Firenze e Roma». Il guardasigilli ha anche evidenziato che si è occupato di rilanciare la professionalità degli agenti penitenziari «grazie alla predisposizione del testo normativo per il riordino delle carriere del personale delle Forze dell’ordine». La relazione di Bonafede ha suscitato anche la reazione del segretario della Fns Cisl, la Federazione nazionale della Sicurezza della Cisl, Pompeo Mannone: «Abbiamo preso atto delle dichiarazioni fatte alla Camera dal ministro Bonafede riguardo la situazione delle carceri italiane, avremmo gradito in merito che le iniziative assunte dal ministero della Giustizia fossero oggetto di una doverosa informazione al sindacato».