A una velocità inimmaginabile un altro ciclo politico sembra essersi archiviato. La politica al tempo dei social, infatti, non brucia solo le leadership, ma anche le prospettive politiche con una rapidità ogni volta capace di stupire. Dopo il 4 marzo 2018 con giudizio quasi unanime si battezzava la nascita di un moderno bipolarismo incardinato su due diverse letture del populismo: il M5S da un lato, la Lega dall’altra.
Il Conte 1 sembrava essere una sorta di atto fondativo di una stagione nuova, dove non sembrava esserci agibilità politica tanto per il centrosinistra quanto per una prospettiva moderata di centrodestra. Quattordici mesi dopo, la debacle alle Europee del Movimento allora guidato da Luigi Di Maio e una sostanziale ripresa del Pd dopo il disastro delle elezioni politiche sembravano spingere il sistema verso uno scenario inedito: il tripolarismo.
L’estate del Papeete ha chiuso l’esperienza gialloverde e, per reazione, posto le basi per il secondo governo Conte e per quello che molti hanno descritto come l’avvio di un nuovo bipolarismo: il centrodestra a trazione sovranista contro un centrosinistra europeista. La sconfitta alle regionali in Umbria per le forze di maggioranza sembrava aver rallentato il cammino verso questo approdo, che, invece, il voto di domenica ha rilanciato con forza. Merito – o demerito, se preferite – del tracollo del Movimento 5Stelle ridotto a percentuali a una cifra in regioni simbolo come l’Emilia Romagna – teatro del primo V- Day e del primo successo amministrativo con la vittoria a Parma – e la Calabria – una delle zone d’Italia con il numero maggiore di domande del reddito di cittadinanza, misura simbolo del grillismo di governo.
A fotografare il nuovo campo di gioco è stato il segretario del Partito democratico. Nicola Zingaretti, forte del successo in Emilia Romagna e di una posizione personale uscita rafforzata dalla tornata elettorale, ha dato il segnale della novità: “È la chiusura del ciclo del 4 marzo. Il Pd è il perno di un nuovo bipolarismo”. Nella lettura del segretario democratico – e con lui di tanti maggiorenti dem nell’esecutivo – la sfida delle prossime politiche vedrà il Pd al centro di una coalizione che avrà nell’attuale maggioranza di governo la sua struttura centrale: Pd, sinistra e Movimento 5Stelle a sfidare Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia.
Occorre ora dare gambe politiche a questa prospettiva per renderla possibile: una nuova legge elettorale che sappia porre le basi per il quadro politico di domani. E invece la strada che si è intrapresa in commissione – il cosiddetto Brescellum – va nella direzione opposta. Il ddl, frutto dell’accordo politico d’inizio 2020 tra Di Maio e Zingaretti, punta a restituire all’Italia un sistema proporzionale puro: niente coalizioni, niente collegi uninominali e sbarramento al 5%. Uno scenario che garantirebbe a tutti i protagonisti del confronto politico mani libere nel comporre, non essendoci alcun vincolo di alleanza presentata agli elettori, maggioranze parlamentari anche inedite. E il Brescellum, non a caso, era lo specchio della visione dimaiana del Movimento 5Stelle: né con la destra, né con la sinistra, ma una posizione terza capace di allearsi alla bisogna per governare.
Una prospettiva incompatibile con le aspirazioni neobipolari del Partito democratico. Per l’Italia un ritorno al passato. Ma parziale. Della Prima Repubblica, infatti, riavremo il sistema elettorale, ma non i partiti che a quel sistema hanno dato forza e sostanza, traghettando l’Italia da un difficilissimo dopoguerra al G7. Al posto dei partiti di massa e organizzati di allora abbiamo movimenti leaderistici, personali, spesso comitati elettorali – o peggio gruppi di comunicazione – del capo politico di turno o partiti lacerati da un correntismo esasperato che, dietro un alone di unità, riproducono le dinamiche di scontri tra personalità.
Uno scenario che consegnerebbe l’Italia all’immobilismo, al personalismo esasperato. Se veramente il Pd vuole portare l’Italia verso un nuovo bipolarismo ed essere il baricentro delle forze rifomiste e progressiste ha l’occasione per farlo a partire proprio dalla legge elettorale: congelare il Brescellum in attesa degli Stati generali di marzo del Movimento, capire quale linea politica adotteranno i 5Stelle e, nel caso prevalesse la visione di convergenza nel centrosinistra incarnata da Beppe Grillo, muoversi di conseguenza. Come?
Non con un maggioritario troppo forzato per la storia e la cultura politica italiana, ma con una legge capace di equilibrare governabilità e rappresentanza. Un equilibrio tra maggioritario e proporzionale. A ben guardare il vecchio ( e affidabile) Mattarellum. La Lega, come già detto da Giorgetti, sarebbe d’accordo. Tocca al Pd.
Tripolarismo addio, meglio il Mattarellum
A una velocità inimmaginabile un altro ciclo politico sembra essersi archiviato. La politica al tempo dei social, infatti, non brucia solo le leadership, ma anche le prospettive politiche con una rapidità ogni volta capace di stupire. Dopo il 4 marzo 2018 con giudizio quasi unanime si battezzava la nascita di un moderno bipolarismo incardinato su due diverse letture del populismo: il M5S da un lato, la Lega dall’altra.
Il Conte 1 sembrava essere una sorta di atto fondativo di una stagione nuova, dove non sembrava esserci agibilità politica tanto per il centrosinistra quanto per una prospettiva moderata di centrodestra. Quattordici mesi dopo, la debacle alle Europee del Movimento allora guidato da Luigi Di Maio e una sostanziale ripresa del Pd dopo il disastro delle elezioni politiche sembravano spingere il sistema verso uno scenario inedito: il tripolarismo.
L’estate del Papeete ha chiuso l’esperienza gialloverde e, per reazione, posto le basi per il secondo governo Conte e per quello che molti hanno descritto come l’avvio di un nuovo bipolarismo: il centrodestra a trazione sovranista contro un centrosinistra europeista. La sconfitta alle regionali in Umbria per le forze di maggioranza sembrava aver rallentato il cammino verso questo approdo, che, invece, il voto di domenica ha rilanciato con forza. Merito – o demerito, se preferite – del tracollo del Movimento 5Stelle ridotto a percentuali a una cifra in regioni simbolo come l’Emilia Romagna – teatro del primo V- Day e del primo successo amministrativo con la vittoria a Parma – e la Calabria – una delle zone d’Italia con il numero maggiore di domande del reddito di cittadinanza, misura simbolo del grillismo di governo.
A fotografare il nuovo campo di gioco è stato il segretario del Partito democratico. Nicola Zingaretti, forte del successo in Emilia Romagna e di una posizione personale uscita rafforzata dalla tornata elettorale, ha dato il segnale della novità: “È la chiusura del ciclo del 4 marzo. Il Pd è il perno di un nuovo bipolarismo”. Nella lettura del segretario democratico – e con lui di tanti maggiorenti dem nell’esecutivo – la sfida delle prossime politiche vedrà il Pd al centro di una coalizione che avrà nell’attuale maggioranza di governo la sua struttura centrale: Pd, sinistra e Movimento 5Stelle a sfidare Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia.
Occorre ora dare gambe politiche a questa prospettiva per renderla possibile: una nuova legge elettorale che sappia porre le basi per il quadro politico di domani. E invece la strada che si è intrapresa in commissione – il cosiddetto Brescellum – va nella direzione opposta. Il ddl, frutto dell’accordo politico d’inizio 2020 tra Di Maio e Zingaretti, punta a restituire all’Italia un sistema proporzionale puro: niente coalizioni, niente collegi uninominali e sbarramento al 5%. Uno scenario che garantirebbe a tutti i protagonisti del confronto politico mani libere nel comporre, non essendoci alcun vincolo di alleanza presentata agli elettori, maggioranze parlamentari anche inedite. E il Brescellum, non a caso, era lo specchio della visione dimaiana del Movimento 5Stelle: né con la destra, né con la sinistra, ma una posizione terza capace di allearsi alla bisogna per governare.
Una prospettiva incompatibile con le aspirazioni neobipolari del Partito democratico. Per l’Italia un ritorno al passato. Ma parziale. Della Prima Repubblica, infatti, riavremo il sistema elettorale, ma non i partiti che a quel sistema hanno dato forza e sostanza, traghettando l’Italia da un difficilissimo dopoguerra al G7. Al posto dei partiti di massa e organizzati di allora abbiamo movimenti leaderistici, personali, spesso comitati elettorali – o peggio gruppi di comunicazione – del capo politico di turno o partiti lacerati da un correntismo esasperato che, dietro un alone di unità, riproducono le dinamiche di scontri tra personalità.
Uno scenario che consegnerebbe l’Italia all’immobilismo, al personalismo esasperato. Se veramente il Pd vuole portare l’Italia verso un nuovo bipolarismo ed essere il baricentro delle forze rifomiste e progressiste ha l’occasione per farlo a partire proprio dalla legge elettorale: congelare il Brescellum in attesa degli Stati generali di marzo del Movimento, capire quale linea politica adotteranno i 5Stelle e, nel caso prevalesse la visione di convergenza nel centrosinistra incarnata da Beppe Grillo, muoversi di conseguenza. Come?
Non con un maggioritario troppo forzato per la storia e la cultura politica italiana, ma con una legge capace di equilibrare governabilità e rappresentanza. Un equilibrio tra maggioritario e proporzionale. A ben guardare il vecchio ( e affidabile) Mattarellum. La Lega, come già detto da Giorgetti, sarebbe d’accordo. Tocca al Pd.
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