La romanità tradita ha un simbolo, che si affianca ai sacchetti dell’immondizia: le scale. Roma è una città di scale: quelle di Sisto IV in Campidoglio che il sindaco, Virginia Raggi, i suoi assessori e i consiglieri salgono per entrare a Palazzo Senatorio e che, stando alle epigrafi che costellano ogni muro dei Palazzi capitolini sono state salite da generazioni di predecessori della Raggi.

Ci sono i “tre gradini”, quelli del carcere di Regina Coeli, che, come da antica tradizione, se non si sono saliti non ci si può definire romani.

La Scala Santa, per la devozione. E quella di Piazza di Spagna della dolce vita e delle azalee di maggio.

E le scale mobili della metropolitana sono il simbolo moderno di una Roma che sprofonda, ripiegata su se stessa, provata da un governo cittadino che ha solo fermato la città, avviluppandola nelle spire di un non luogo, di una non decisione.

Chi non vive a Roma ha forse letto qualcosa sui giornali o ascoltato, magari distrattamente, un servizio in qualche telegiornale.

Chi invece a Roma vive o vi lavora quotidianamente ha vissuto sulla propria pelle il progressivo deterioramento della situazione. Nel 2017 Atac bandisce una gara d’appalto per la manutenzione delle scale mobili, degli ascensori e dei tapis roulant delle stazioni delle tre linee di metropolitana - A, B e C - e della ferrovia Roma- Lido di Ostia ( proprietà Regione Lazio). Vince un’azienda, di cui è pietoso tacere anche il nome, che offre un ribasso del 49,73% sulla base di gara. Praticamente a metà prezzo. Dopo poche settimane, iniziano a verificarsi con sempre maggiore e allarmante frequenza scale mobili ferme. Prima più che altro segnalazioni degli utenti, poi, quando il caso diventa sempre più grave, con l’interessamento dei media e il religioso silenzio di chi è stato eletto per spiegare e risolvere i problemi: non un tweet, un post, un comunicato stampa viene in quei mesi rilasciato dal sindaco di Roma, Virginia Raggi, dall’allora suo assessore alla Mobilità, Linda Meleo, né dai vertici aziendali. Sul sito di Atac c’è una pagina dedicata al funzionamento degli “impianti di traslazione”, così vengono chiamati scale mobili e ascensori. Giorno dopo giorno, la lista degli impianti fuori servizio si allunga e si allarga.

Fino a quella sera di fine ottobre del 2018 quando una cinquantina di cittadini russi, tifosi del Cska Mosca a Roma per seguire l’incontro di Champions contro la As Roma, rimangono feriti per il crollo di una scala mobile sotto i loro piedi. Le immagini sono drammatiche e solo il caso ha voluto che ci si limitasse ai feriti. Con il sindaco Raggi che, in un primo momento, parlò in modo affrettato di “tifosi che saltavano” salvo poi correggersi.

Da quel momento, il caos si è moltiplicato a dismisura. A Natale 2018 inizia un lungo periodo di “apri e chiudi” con altre due stazioni, Barberini e Repubblica, che erano diventate il terno al lotto dei romani. Aperte, chiuse, aperte solo in uscita: il tutto più volte al giorno e, ancora, nel colpevole silenzio della Raggi.

Fino a marzo: l’ultimo incidente, un gradino che salta a Barberini sotto i piedi della gente, obbliga Atac a provvedimenti drastici. Stazioni Repubblica, Barberini e Spagna chiuse e magistratura in campo.

Risultato: Spagna riapre a fine maggio, Repubblica a giugno e Barberini è ancora chiusa e si avvicina a festeggiare un anno.

Perché il problema è molto complesso: le stazioni più profonde della metropolitana non possono rimanere aperte senza le scale mobili in funzione. In caso di emergenza il rischio sarebbe troppo elevato per tutti.

Quindi, si chiude. Oppure si riapre solo in uscita. Che è quel che accadrà a Barberini quando saranno completati i lavori oggi ancora in corso. Ciò poiché con un numero minimo di scale in funzione non si può garantire la sicurezza a tutti quindi la si garantisce solo a chi si può controllare, vale a dire ai viaggiatori in uscita. Barberini i cui binari stanno 30 metri in profondità rispetto alla stradava 6 scale mobili. Con 4 in funzione la stazione resta aperta solo in uscita. Al momento, dopo quasi un anno di attesa, i lavori sono in corso solo su quattro scale delle quali solo 3 hanno superato i collaudi. La quarta - che per altro è quella del gradino saltato a marzo 2019 - dopo due collaudi è ancora ferma.

Già tre o quattro gli slittamenti per la riapertura: prima fine novembre, poi prima di Natale, poi dopo Capodanno, poi fine gennaio. Ora già si parla di inizio febbraio.

Nel frattempo, sprofondando nel tragicomico, vanno in manutenzione ventennale le scale mobili di 5 stazioni della linea A: quelle del capolinea Battistini, poi Cornelia, Baldo degli Ubaldi, Valle Aurelia e Cipro sono tutte state inaugurate 20 anni fa. E la legge stabilisce che gli impianti di traslazione debbano essere sottoposti a una verifica dopo 10 anni, a una molto approfondita a 20 e, infine, alla pensione a 30 anni di età. Fa, dunque, tenerezza il tentativo del sindaco Raggi di rivendicare come un grande successo questa manutenzione ventennale: è la prima da fare e dire, come ha fatto il Sindaco, che si tratta di “operazioni che prima non erano mai state effettuate” e di “scale mobili della metropolitana abbandonate da 20 anni” è la cifra della disperazione. Anche perché la manutenzione è in corso in queste settimane quando avrebbe dovuto esser terminata il 31 dicembre 2019.

Non bastasse, in questo anno altre stazioni andranno a soggette a problemi: Piramide, Castro Pretorio, Policlinico, Bologna, Tiburtina F. S., Quintiliani, Monti Tiburtini, Pietralata, Santa Maria del Soccorso, Rebibbia, tutte metro B, hanno gli impianti che sono giunti all’età della pensione. L’appalto straordinario, fatto dal Comune e vinto dalla Schindler, per un valore di 9,2 milioni di euro partirà solo con 9 scale su 22 da sostituire e si concluderà a fine 2020. Quindi, per un lungo periodo i romani rischiano di avere Castro Pretorio, Policlinico e Bologna - tre stazioni profonde e molto frequentate - utilizzabili solo in uscita mentre le altre inaccessibili a chi ha difficoltà motorie. Se questa è la scala per l’inferno, l’abbiamo imboccata.