Se lo Statuto del P. N. F. approvato con il R. D. 2137/ 1929 in base all’art. 6 della Legge 2099/ 1929 fu oggetto di autorevoli commenti, tra i quali si ricorda l’ampia monografia di Salvatore Carbonaro (“Il Partito Nazionale Fascista e la sua struttura giuridica”, Firenze 1939), il regime giuridico dei partiti politici nell’esperienza costituzionale dell’art. 49 si è caratterizzato, sino al D. L. 149/ 2013, per una sostanziale deregulation, qualificandosi essi come semplici associazioni non riconosciute ex art. 36 e segg. del Codice Civile, benché la loro attività abbia natura obiettivamente costituzionale, dovendoli ritenere non già soltanto espressioni dell’ autonomia privata, bensì vere e proprie formazioni sociali “organizzative” che presiedono alla funzione dell’indirizzo politico costituzionale e di maggioranza, al crocevia del rapporto tra corpo elettorale e Parlamento ed in proposito appaiono come sempre illuminanti le intuizioni in questi termini di Alberto Predieri ( in I partiti politici, in Commentario sistematico alla Costituzione italiana diretto da Calamandrei e Levi, I, Firenze 1950).

Ma poiché nell’ordinamento costituzionale i partiti si muovono essenzialmente in un ambito fattuale e politico i loro statuti hanno formato oggetto sino ad oggi di limitata attenzione da parte della dottrina giuridica, nonostante che una significativa “giuridificazione” della loro attività, finalmente in attuazione dell’art. 49 Cost., sia intervenuta con il D. L. 149/ 2013 convertito con modificazioni con Legge 13/ 2014, avente ad oggetto secondo il suo titolo la “Abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore”.

L’art. 2 di tale D. L. infatti, nel parafrasare il contenuto normativo dell’art. 49 Cost., ci dice che “l’osservanza del metodo democratico, ai sensi dell’articolo 49 della Costituzione, è assicurata anche attraverso il rispetto delle disposizioni del presente decreto”.

Inoltre, secondo l’art. 3 dello stesso D. L, per beneficiare delle contribuzioni ed in generale del regime giuridico così introdotto, i partiti politici sono tenuti a dotarsi di uno statuto il quale “nel rispetto della Costituzione e dell’ordinamento dell’Unione Europea” indichi tra gli altri “i diritti e i doveri degli iscritti e i relativi organi di garanzia”. L’art. 4 del DL introduce a sua volta un procedimento di verifica dei contenuti degli statuti dei partiti politici da parte della “Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici”, la quale, “verificata la presenza nello statuto degli elementi indicati all’articolo 3, procede all’iscrizione del partito nel registro nazionale, da essa tenuto, dei partiti politici riconosciuti ai sensi del presente decreto”.

Successivamente, all’esito positivo di tale verifica, lo statuto è pubblicato entro un mese in Gazzetta Ufficiale.

Ora, a parte la singolarità della incostituzionale previsione in tale disposizione di un ricorso al giudice amministrativo – evidentemente in sede di giurisdizione esclusiva - contro il diniego di iscrizione, essendosi in presenza di diritti soggettivi pubblici al più elevato livello di protezione che dovrebbe essere assicurato dall’ordinamento, suscita un estremo interesse il contenuto degli statuti di un recente movimento politico di grandissimo successo elettorale, che pone però qualche interrogativo sul piano costituzionale.

Intendiamo riferirci allo statuto del movimento politico “Lega per Salvini premier”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 278 del 2018, nonché al più recente Statuto della “Lega Nord per l’indipendenza della Padania” approvato dal Congresso Federale Straordinario il 21 dicembre 2019, ancora da verificare da parte della commissione prevista dall’art. 4 del DL 149/ 2013.

In entrambi infatti si prevede che “la qualifica di socio ordinario militante è incompatibile con l’iscrizione o l’adesione a qualsiasi altro partito o movimento politico, associazione segreta, occulta o massonica, a liste civiche non autorizzati dall’organo competente o ad enti no profit ricompresi tra quelli preclusi dalla Lega per Salvini premier”.

Domandiamoci qual è il significato di questa clausola e se essa sia illecita o meno con particolare riguardo all’associazionismo di carattere massonico, perché evidentemente con ciò non si intende richiamare soltanto il secondo comma dell’art. 18 della Costituzione e l’art. 1 della legge Anselmi, come emerge dal fatto che essa è direttamente refluita nel non più operante “contratto per il governo del cambiamento” tra Movimento 5 Stelle e Lega, ove si prevedeva all’interno del “codice etico dei membri del governo” che non potessero farvi parte coloro che “appartengono alla massoneria”.

Il quesito è dunque se questa clausola statutaria - così interpretata- rispetti o meno l’art. 3 del DL 139/ 2013 e cioè se sia osservante della Costituzione e dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, poiché altro senso non può assumere il rinvio contenuto nella disposizione sopra citata all’ “ordinamento” della UE.

La risposta in realtà è assai agevole e la possiamo ricavare direttamente dalla Costituzione. Se tali clausole statutarie le intendiamo soltan- to riferite alle organizzazioni massoniche “segrete” quali la P2 ( non a caso sciolta con la legge 17 del 1982 più nota come “Legge Anselmi”) nulla quaestio, mentre se le interpretiamo nel loro significato letterale e come sono state declinate nel pregresso “contratto di governo”, il contrasto diretto di esse con l’art. 3 del DL 149/ 2013 appare indubbio, tanto con riferimento all’art. 18 1° comma della Costituzione quanto con riferimento all’art. 11 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e all’art. 12 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, il cui contenuto normativo è identico, come emerge dalle relative “spiegazioni”, contenute nella stessa Carta ed aventi lo stesso “rango”.

In altre parole, se il limite di contenuto degli statuti dei movimenti politici è rappresentato da tale “doppia conformità”, è evidente che una clausola statutaria di carattere oggettivamente discriminatorio e limitativo a sua volta della libertà di associazione, anche al di fuori della “forma” partito politico e del relativo “contenitore”, deve ritenersi non consentita. E la risposta al quesito viene a darla la stessa giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in due ben noti casi relativi all’Italia.

Nelle sentenze del 2 agosto 2001 e del 31 maggio 2007, entrambe rese su ricorso diretto ex art. 34 della Convenzione da parte del “Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani”, la Corte ha infatti riconosciuto l’esistenza di una violazione dell’art. 11 della Convenzione sia nei confronti di una legge della Regione Marche ( la 34 del 1996), la quale imponeva ai candidati alle nomine di competenza regionale di “dichiarare la non appartenenza ad una loggia massonica”, sia nei confronti di una legge della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia ( la n. 1 del 2000) la quale imponeva come condizione preliminare in tali casi la dichiarazione dell’eventuale apparenza ad una associazione massonica.

La risposta della Corte EDU, in entrambi i casi, è stata chiarissima nel senso che tali previsioni erano limitative del diritto generato dall’art. 11 della CEDU, perché configurano restrizioni della libertà di associazione.

Infatti “la Corte ricorda di aver già ritenuto applicabile l’art. 11 a delle associazioni, quali i partiti politici ( cfr. le sentenze Partito comunista unificato delle Turchia ed altri c. Turchia, in Raccolta 1998- I, e Partito socialista ed altri c. Turchia, in Raccolta 1998- III). Essa ha indicato, in termini generali, che un’associazione, sia essa un partito politico, non si trova sottratta all’operatività della Convenzione per il sol fatto che le sue attività passano agli occhi delle autorità nazionali come rivolte ad attentare alle strutture costituzionali di uno Stato e richiedono misure “restrittive” ( sentenza Partito comunista unificato della Turchia ed altri, cit., ibidem, p. 17, § 27). La Corte è dell’avviso che questo ragionamento valga ancora di più per un’associazione che, come la ricorrente, non è sospettata di attentare alle strutture costituzionali. Inoltre ed in particolar modo, la Corte riconosce che la misura de qua agitur può arrecare pregiudizio alla ricorrente- come indicato da quest’ultima-, determinando ad esempio una perdita di membri di prestigio”.

Così la sentenza 2 agosto 2001, la quale continua affermando che “la Corte ritiene, tuttavia, che la libertà di associazione riveste una tale importanza da non potere subire alcuna limitazione, sia pure per una persona candidata ad una carica pubblica, nella misura in cui l’interessato non commetta egli stesso, in ragione della sua appartenenza all’associazione, alcun atto irreprensibile. D’altra parte, è evidente che l’associazione subisce il contraccolpo delle decisioni dei suoi membri. In conclusione, l’interdizione contestata, per quanto minima possa essere con riguardo alla ricorrente, non appare “necessaria in una società democratica””.

E se tali limitazioni non sono consentite alla legge, a fortiori non possono esserlo da parte di un atto, che seppure originato dall’autonomia privata, deve rispettare la Costituzione ed il diritto europeo, poiché l’art. 117 1° comma della Costituzione conferma che le violazioni della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo ridondano anche sul piano costituzionale interno.

Ma le curiosità non finiscono qui.

Infatti, come emerge dalla sua intitolazione, ben difficilmente lo Statuto della “Lega Nord per l’Indipendenza della Padania” potrà superare la verifica prevista dall’art. 4 del D. L. 149/ 2013.

Anzi è prevedibile che per le sue finalità non vi venga nemmeno sottoposto.

A parte la singolare organizzazione di tale formazione politica, suddivisa in articolazioni territoriali denominate “Nazioni” e corrispondenti alle regioni di una sorta di Italia “Gotica” che non va oltre le Marche, vi è il problema che per l’art. 1 di tale Statuto la “Lega Nord per l’In-dipendenza della Padania” ( di seguito indicato come “Lega Nord”, “Lega Nord- Padania” o “Movimento”) è un movimento politico confederale costituito in forma di associazione non riconosciuta che ha per finalità il conseguimento dell’indipendenza della Padania attraverso metodi democratici e il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica Federale indipendente e sovrana”. E’ vero che c’è stata una tacita convenzione politica, dal 1992 ad oggi, per non prendere troppo sul serio queste affermazioni che sicuramente fanno parte della libertà di manifestazione del pensiero e della libertà di associazione, ma che entrano patentemente in conflitto con la disciplina dei partiti politici attuativa dell’art. 49 Cost. introdotta dal D. L. 149/ 2013. Se condizione per la loro operatività con i benefici previsti dal D. L. è che lo Statuto rispetti la Costituzione, è infatti sufficiente, per averne conferma, leggere l’art. 5 di essa, non a caso collocato tra i suoi principi fondamentali, il quale definisce la Repubblica “una ed indivisibile” che nel contempo riconosce e promuove le autonomie locali.

Ma, come insegna la Corte Costituzionale, l’autonomia è una cosa ben diversa dalla sovranità che compete soltanto allo Stato ( sentenza n. 365 del 2007).

Quindi, mentre queste ultime previsioni “secessioniste” potremmo definirle un innocuo retaggio di un movimento politico che in realtà non esiste sul piano dei partiti politici, quelle precedenti, se non riferite soltanto alle associazioni previste dall’art. 1 della Legge Anselmi, sono in realtà liberticide e disvelano un animus autoritario senz’altro sconosciuto ai partiti che hanno storicamente contribuito a costruire la Repubblica Italiana ed in particolare a quelli che l’hanno governata sino al 1992, data che rappresenta il vero spartiacque tra una costituzione materiale e l’altra.