«Prevedere il blocco della prescrizione solamente dopo la sentenza di condanna di primo grado rischia di condizionare fortemente il giudice, limitando la sua imparzialità e terzietà». Dall’avvocatura e anche da diversi settori della magistratura inizia a farsi strada l’idea che il cosiddetto “lodo Conte”, la proposta di Federico Conte, deputato di Leu, avvocato penalista, possa avere solo effetti controproducenti.

«La mia idea - aveva detto la scorsa settimana Conte - è servita come argomento per trovare un terreno comune di mediazione politica: in caso di condanna, indubbiamente, si affievolisce il principio di non colpevolezza, visto che c'è il pronunciamento di un giudice. Sia chiaro il principio di non colpevolezza non scompare, ma si affievolisce».

Quale giudice, però, sapendo che con l’assoluzione la prescrizione continuerà a correre, avrà la forza di assolvere l’imputato nei processi caratterizzati da forte impatto mediatico?

C’è la concreta possibilità che, per evitare di rimanere travolto dalle polemiche e dalle accuse di non aver reso giustizia, il giudice preferisca condannare, scaricando la responsabilità di una assoluzione ai colleghi d’Appello.

Ma non solo. Tale sistema a “doppia velocità” per condannati e assolti ha immediatamente fatto sorgere dubbi sulla sua legittimità costituzionale.

La Costituzione, infatti, non prevede distinzioni tra assolti e condannati fino al terzo grado di giudizio, dal momento che «l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva».

Secondo Piercamillo Davigo, fra i fautori del blocco della prescrizione, potrebbero esserci dubbi sotto il profilo di precedenti pronunce della Consulta.

Magistratura indipendente, il gruppo moderato dell’Anm, è intervenuta ieri nella discussione con un comunicato critico nei confronti del governo.

Si deve individuare «un punto di equilibrio che, scongiurando il rischio di abuso dei tempi del processo da parte dell’imputato, ne favorisca e stimoli la ragionevole durata, evitando congiuntamente l’eventualità che la persona accusata di un reato resti indefinitamente esposta alla pretesa punitiva dello Stato, con naturale e conseguente compromissione di plurimi valori costituzionali».

Il problema di fondo, sottolineano le toghe di Mi, è che «manca l’approntamento delle fondamentali risorse, umane ( e il riferimento è, in particolare, alla dotazione di personale amministrativo ndr), materiali e finanziarie, che rientra nei doveri primari della politica: la situazione esistente è insuscettibile di effettiva favorevole evoluzione».