Nell’avviso di conclusione indagini dell’inchiesta “Angeli& Demoni”, notificato martedì ai 25 indagati, ci sono molte cose. C’è, da un lato, la riconferma dei sospetti della Procura di Reggio Emilia su assistenti sociali e psicologi coinvolti nel cosiddetto scandalo affidi, che ora rischiano il processo. C’è, dall’altro, un ridimensionamento delle accuse rivolte al sindaco di Bibbiano Andrea Carletti, che “perde” per strada due capi d’imputazione.

E c’è, tra le righe, la cristallizzazione del ruolo svolto dal tribunale dei minori di Bologna: non quello di “complice” dei reati ipotizzati, semmai quello di vittima. Nelle 71 pagine firmate dal pm Valentina Salvi, titolare dell’inchiesta, ad uscire peggio di tutti è Federica Anghinolfi, ex dirigente dei servizi sociali della val d’Enza, che porta sul groppone 64 capi d’imputazione sui 108 messi nero su bianco dalla procura: dal falso ideologico alla frode processuale, passando per violenza privata, falsa perizia ed abuso d’ufficio.

Ne esce, invece, un’immagine leggermente diversa di Carletti, per il quale proprio martedì la Cassazione ha reso note le ragioni della revoca dell’obbligo di dimora: non ci sono elementi concreti dai quali sia possibile desumere le ragioni della persistente effettività del ravvisato periculum libertatis. Nell’ordinanza originale, il suo nome compariva associato a quattro capi d’accusa, dal numero 85 al numero 88: tre episodi di abuso d’ufficio e un falso ideologico.

Nel primo caso per aver messo a disposizione della “Hansel& Gretel”, la onlus di Claudio Foti, locali pubblici senza alcuna gara, nel secondo per aver partecipato alla falsificazione della causale delle somme versate agli affidatari, nel terzo per aver abbassato il valore della soglia dei servizi, spacchettandoli, per prorogarli senza gara, nel quarto, infine, per aver affidato il servizio legale all’avvocato Marco Scarpati, totalmente scagionato dalle accuse tanto da veder archiviata la propria posizione.

Al termine delle indagini per il dem Carletti rimangono due ipotesi: una di abuso d’ufficio, per aver affidato il servizio di psicoterapia dei Comuni della Val d’Enza alla Onlus senza bando e quella di falso. Due accuse che nulla hanno a che vedere con l’identikit del mostro cucitagli addosso da partiti di destra e media e che gli è valso mesi di gogna mediatica cavalcati dalla Lega in vista delle regionali. E che non sfiorano minimamente il campionario degli orrori ipotizzato dai capi d’imputazione, superiori a quelli formulati inizialmente a seguito dell’attività istruttoria.

L’altro aspetto riguarda il Tribunale dei minori. Tirato dalla giacca da tutti quelli che, oggi, sostengono che tra le stanze dell’edificio di via del Pratello qualcuno abbia volontariamente taciuto sui reati, se non addirittura partecipato e che appare, invece, riabilitato. Di tale collusione, al momento al vaglio dell’ispezione ministeriale avviata dal Guardasigilli Alfonso Bonafede, nelle carte non si trova traccia.

L’intento del ministro, che ha inviato in tribunale due squadre di ispettori, era quello di monitorare eventuali rapporti, anche extraprofessionali, tra giudici e operatori del settore minorile, che potrebbero aver determinato situazioni di incompatibilità e il mancato rispetto dei protocolli. Un rispetto che era stato sancito, nei mesi scorsi, da un’indagine interna disposta dal presidente del Tribunale, Giuseppe Spataro, sui fascicoli degli ultimi anni, compresi quelli finiti nell’inchiesta.

Da quell’indagine non era emerso nulla in grado di giustificare l’ipotesi, tutta mediatica, del “sistema”, parlando, piuttosto, di anomalia, perché gli unici casi ambigui sarebbero quelli finiti sotto la lente della procura ordinaria. Nove in tutto, sette dei quali già “risolti” dal Tribunale dei minori. E l’unica autorità a poter stabilire se le relazioni dei servizi fossero false e se, quindi, ci siano altre anomalie, aveva chiarito Spadaro, è la procura.

Nulla, dunque, lascerebbe immaginare connivenze tra magistrati minorili e indagati. Tant’è che nell’avviso di conclusione indagini il Tribunale compare solo come parte lesa, risultando vittima di frode processuale, depistaggio ed induzione in errore in almeno 13 capi d’accusa ipotizzati dalla Procura. Eppure, la precisazione di Spadaro ha fatto finire il Tribunale nel fango: niente promozione per lui, procedimento disciplinare per un suo pm, reo di aver osato chiedere una smentita alla Procura.