Non solo l’ex ministro Calogero Mannino è del tutto estraneo alla trattativa Stato - mafia, ma quest’ultima non c’è mai stata. Ieri i giudici di Palermo hanno depositato le motivazioni della sentenza che ha confermato l'assoluzione di primo grado dell'ex ministro democristiano. Sono oltre mille le pagine in cui il collegio presieduto da Adriana Piras, a latere Massimo Corleo e Maria Elena Gamberini, spiega perché Mannino è innocente.

Nello stesso tempo piccona anche la trattativa, intesa come patto sporco con la mafia dall'accusa al processo a Mannino, ma anche nel troncone principale che si è chiuso – in primo grado - con condanne pesantissime. «Non è stato affatto dimostrato che Mannino fosse finito anch’egli nel mirino della mafia a causa di sue presunte ed indimostrate promesse non mantenute ( addirittura, quella del buon esito del primo maxi processo) ma, anzi, al contrario, è piuttosto emerso dalla sua sentenza assolutoria che costui fosse una vittima designata della mafia, proprio a causa della sua specifica azione di contrasto a Cosa nostra quale esponente del governo del 1991», scrivono i giudici.

La corte smantella la tesi dell’accusa secondo la quale Mannino, minacciato da Cosa nostra per non aver mantenuto i patti, avrebbe avviato, grazie ai suoi rapporti con i carabinieri del Ros, una trattativa finalizzata a dare concessioni ai clan in cambio di una assicurazione sulla vita. Ma la presunta trattativa c’è sta o no? Secondo i giudici no e smontano la prova del teorema basata sul mancato rinnovo del 41 bis ad alcuni mafiosi. Infatti delle circa 300 persone a cui non si è rinnovato il 41 bis, solo 18 appartenevano alla mafia. Ma non solo. A seguito di una nuova applicazione, si era ridotto a soli undici soggetti mafiosi. Secondo i giudici, il mancato rinnovo del 41 bis è frutto di scelta dettata dalla sentenza della Corte costituzionali e altri fattori che nulla c’entrano con la tesi accusatoria.

Interessante il passaggio dove i giudici scrivono che gli ex Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno avviarono le interlocuzioni con l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino esclusivamente per la cattura dei latitanti. Inoltre i giudici smontano la tesi che tale iniziativa fosse stata tenuta all’oscuro. Infatti sottolineano che - tramite Liliana Ferraro, magistrato, amica e braccio destro di Falcone -, era stato avvisato Paolo Borsellino, così come - dopo l’arresto di Ciancimino -, anche il procuratore della Repubblica di Palermo, Giancarlo Caselli.

Ma non solo. I giudici mettono in evidenza anche una palese contraddizione sul presunto favore che gli ex Ros avrebbero fatto a Mannino. A proposito della loro famosa indagine su mafia- appalti e di quelle successive sul concorso esterno in associazione mafiosa, gli uomini del Ros non avevano mai lesinato indagini a carico di Mannino. I giudici hanno anche stigmatizzato la teoria – portata avanti dall’accusa- della cosiddetta “doppia informativa” del dossier mafia- appalti. La tesi dei pm, in sostanza, dice che i Ros avrebbero depurato il dossier di alcuni nomi, tra i quali quelli di Mannino.

Ma i giudici della Corte d’appello smontano tale ricostruzione, rimandando al capitolo 6 dell’ordinanza di archiviazione a firma dell’allora Gip Gilda Loforti della procura di Caltanissetta. I Pm avevano detto che la vicenda mafia appalti come concausa delle stragi sarebbe diventato un boomerang difensivo. Invece i giudici non solo hanno smentito ciò, ma bacchettano i pm di non aver inserito la sentenza Loforti sulla vicenda mafia- appalti.