L’orrore di abbattere gli aerei “per errore”, intramontabile scelta di guerra stragista
Ultimo caso I 176 morti per colpa dell’Iran. Prima, una lista lunga che passa per I separatisti ucraini, l’ 11 settembre, il dc9 Itavia, il missile Usa contro Iran air
Centosettantasei persone. Uomini, donne, bambini cancellati a Teheran ( forse) da un missile di cui il governo iraniano si assume la paternità, dopo un primo momento di imbarazzo. Ancora una volta passeggeri inermi e innocenti sono le vittime di una guerra, mai ufficialmente guerreggiata ma cruenta, che sembra aver trovato nel cielo il suo campo di battaglia preferito.
Una guerra che dura, a pensarci bene, dai tempi in cui Enrico Mattei, eretico inventore del petrolio italiano trovò la morte nel cielo di Bascapè, Lombardia, 1962, portando con sé le speranze di un’Italia con ambizioni autonome mai più così vive e concrete come allora. Un brutale cambiamento di prospettiva nazionale, costato la vita al brillante manager italiano, al giornalista inglese che lo accompagnava e al pilota del piccolo aereo precipitato “in circostanze misteriose”.
Da allora, altri crocevia storici sono stati caratterizzati da dirottamenti o disastri aerei tutt’altro che casuali.
E’ ancora fresca la memoria del volo Malaysia Airlines MH17, rotta Amsterdam- Kuala Lumpur, colpito nel 2014 con ogni probabilità da separatisti filorussi ucraini mentre divampava il conflitto tra Ucraina e Russia: più di 300 vittime, in prevalenza olandesi e malesi e nessuno può dimenticare, naturalmente, il fatto più eclatante, il dramma dell’undici settembre 2001, quando alle vittime dei quattro voli dirottati e precipitati negli Stati Uniti si sono aggiunti i 3000 morti delle torri gemelle. Anche in quel caso, gli eventi seguiti alla tragedia subirono quantomeno notevoli accelerazioni, con l’invasione americana dell’Afghanistan e la guerra senza quartiere al terrorismo, identificato nella figura di Osama Bin Laden, volute dalla triade George W. Bush- Cheney- Rumsfeld, cui seguirono la seconda guerra del Golfo e l’eliminazione di Saddam Hussein.
Appena un mese dopo, il 4 ottobre 2001, durante un’esercitazione, l’esercito ucraino sparò un missile che sorvolò la zona dei bersagli ma colpì un aereo di linea della Siberia Airlines che transitava sul Mar Nero. 76 civili morti, russi e ucraini si rimpallarono le colpe, per poi accusare concordi i ribelli ceceni.
Ma già in precedenza, negli anni ottanta, c’erano stati altri due incidenti: Larry Mc Donald, un membro del congresso USA era tra le 269 vittime dell’aereo Korean Air Lines volo 007, abbattuto dai russi nel 1983, momento critico di una guerra fredda che fu sul punto di diventare conflitto nucleare. Nel 1988 invece 290 persone morirono su un aereo Iran Air, volo 655, colpito sullo stretto di Hormuz da un missile americano.
Le modalità e le circostanze di questi episodi sono, come si vede, sempre incerte e di ardua decifrazione a tutti i livelli, a partire dalle loro ricostruzioni fisiche per arrivare a certezze praticamente impossibili su volontarietà, errori umani ed eventuali moventi politici, uno su tutti il caso per noi più doloroso del jet Itavia precipitato nel mare di Ustica nel 1980.
Fatto sta che il numero di vittime, civili assolutamente innocenti, è in preoccupante aumento.
I’impressione è che l’abbattimento di aerei di linea, scelti a caso o con motivazioni ben studiate a tavolino, rientri ormai in strategie di guerra parallela, o psicologica, un’evoluzione di tattiche terroristiche stragiste che in Italia abbiamo ben conosciuto e che inquadra gli scenari delle rotte aeree come ideali per facilità di bersaglio e relativa cassa di risonanza.
C’è poi da dire che la gestione delle informazioni da parte dei governi su simili atti di guerra rientra spesso e volentieri nel peacekeeping, settore tra i più delicati da maneggiare da parte delle intelligence di tutto il mondo, consentendo l’applicazione di un certo calmiere mediatico con l’obiettivo di attenuare contraccolpi difficili da arginare. In sostanza, uccidere civili mediante attentati in quota garantisce all’esecutore due risultati importanti: l’invio di un messaggio forte e chiaro al destinatario selezionato e, contemporaneamente, la possibilità di intorbidare le acque nei confronti dell’opinione pubblica su modalità, autori e moventi reali dell’azione. Come dire gettare il sasso e nascondere la mano. Niente di nuovo sotto il sole, in fondo.
L’orrore di abbattere gli aerei “per errore”, intramontabile scelta di guerra stragista
Centosettantasei persone. Uomini, donne, bambini cancellati a Teheran ( forse) da un missile di cui il governo iraniano si assume la paternità, dopo un primo momento di imbarazzo. Ancora una volta passeggeri inermi e innocenti sono le vittime di una guerra, mai ufficialmente guerreggiata ma cruenta, che sembra aver trovato nel cielo il suo campo di battaglia preferito.
Una guerra che dura, a pensarci bene, dai tempi in cui Enrico Mattei, eretico inventore del petrolio italiano trovò la morte nel cielo di Bascapè, Lombardia, 1962, portando con sé le speranze di un’Italia con ambizioni autonome mai più così vive e concrete come allora. Un brutale cambiamento di prospettiva nazionale, costato la vita al brillante manager italiano, al giornalista inglese che lo accompagnava e al pilota del piccolo aereo precipitato “in circostanze misteriose”.
Da allora, altri crocevia storici sono stati caratterizzati da dirottamenti o disastri aerei tutt’altro che casuali.
E’ ancora fresca la memoria del volo Malaysia Airlines MH17, rotta Amsterdam- Kuala Lumpur, colpito nel 2014 con ogni probabilità da separatisti filorussi ucraini mentre divampava il conflitto tra Ucraina e Russia: più di 300 vittime, in prevalenza olandesi e malesi e nessuno può dimenticare, naturalmente, il fatto più eclatante, il dramma dell’undici settembre 2001, quando alle vittime dei quattro voli dirottati e precipitati negli Stati Uniti si sono aggiunti i 3000 morti delle torri gemelle. Anche in quel caso, gli eventi seguiti alla tragedia subirono quantomeno notevoli accelerazioni, con l’invasione americana dell’Afghanistan e la guerra senza quartiere al terrorismo, identificato nella figura di Osama Bin Laden, volute dalla triade George W. Bush- Cheney- Rumsfeld, cui seguirono la seconda guerra del Golfo e l’eliminazione di Saddam Hussein.
Appena un mese dopo, il 4 ottobre 2001, durante un’esercitazione, l’esercito ucraino sparò un missile che sorvolò la zona dei bersagli ma colpì un aereo di linea della Siberia Airlines che transitava sul Mar Nero. 76 civili morti, russi e ucraini si rimpallarono le colpe, per poi accusare concordi i ribelli ceceni.
Ma già in precedenza, negli anni ottanta, c’erano stati altri due incidenti: Larry Mc Donald, un membro del congresso USA era tra le 269 vittime dell’aereo Korean Air Lines volo 007, abbattuto dai russi nel 1983, momento critico di una guerra fredda che fu sul punto di diventare conflitto nucleare. Nel 1988 invece 290 persone morirono su un aereo Iran Air, volo 655, colpito sullo stretto di Hormuz da un missile americano.
Le modalità e le circostanze di questi episodi sono, come si vede, sempre incerte e di ardua decifrazione a tutti i livelli, a partire dalle loro ricostruzioni fisiche per arrivare a certezze praticamente impossibili su volontarietà, errori umani ed eventuali moventi politici, uno su tutti il caso per noi più doloroso del jet Itavia precipitato nel mare di Ustica nel 1980.
Fatto sta che il numero di vittime, civili assolutamente innocenti, è in preoccupante aumento.
I’impressione è che l’abbattimento di aerei di linea, scelti a caso o con motivazioni ben studiate a tavolino, rientri ormai in strategie di guerra parallela, o psicologica, un’evoluzione di tattiche terroristiche stragiste che in Italia abbiamo ben conosciuto e che inquadra gli scenari delle rotte aeree come ideali per facilità di bersaglio e relativa cassa di risonanza.
C’è poi da dire che la gestione delle informazioni da parte dei governi su simili atti di guerra rientra spesso e volentieri nel peacekeeping, settore tra i più delicati da maneggiare da parte delle intelligence di tutto il mondo, consentendo l’applicazione di un certo calmiere mediatico con l’obiettivo di attenuare contraccolpi difficili da arginare. In sostanza, uccidere civili mediante attentati in quota garantisce all’esecutore due risultati importanti: l’invio di un messaggio forte e chiaro al destinatario selezionato e, contemporaneamente, la possibilità di intorbidare le acque nei confronti dell’opinione pubblica su modalità, autori e moventi reali dell’azione. Come dire gettare il sasso e nascondere la mano. Niente di nuovo sotto il sole, in fondo.
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