Il lavorio diplomatico e la presenza militare di Russia e Turchia sta di fatto determinando il prossimo futuro della Libia. Ieri a Mosca, nella tarda mattinata, sono arrivati Fayez al Serraj, accompagnato dal ministro degli Esteri Mohammed Siala, il ministro dell'Interno Fathi Bashagha e il capo dell'Alto Consiglio di Stato Khalid al- Mishri e la delegazione guidata invece dal generale Haftar. Nella capitale russa i protagonisti della guerra civile libica si sono ritrovati per discutere un cessate il fuoco definitivo, propedeutico a vere trattative di pace che dovrebbero essere oggetto della prossima conferenza di Berlino che si terrà il 19 gennaio.

Una tregua è già entrata in vigore domenica anche se non sono mancate alcune violazioni, da qui anche la fretta di Vladimir Putin e Recep Erdogan di far sedere i contendenti allo stesso tavolo. I punti in discussione Mosca erano 7: l'osservanza incondizionata della cessazione delle ostilità ( per la quale non esclusa una presenza di osservatori Onu), misure necessarie per stabilizzare la situazione sul terreno e normalizzare la vita quotidiana a Tripoli e in altre città. L'accesso sicuro, la consegna e la distribuzione di assistenza umanitaria. La designazione di membri di una commissione militare per determinare la linea del fronte. La nomina di rappresentanti che parteciperanno ai canali di dialogo. Una riunione dei gruppi di lavoro in una data ed in un luogo che non sono ancora definiti. Meno delineato e più difficile il capitolo che riguarda le milizie ( ritiro senza condizioni e consegna delle armi) e il controllo dei pozzi petroliferi, già in mani ad Haftar.

Nonostante le pressioni degli ingombranti sponsor, è arrivata un'intesa ma a metà. Serraj ha siglato la bozza di accordo mentre Haftar ha chiesto tempo fino a questa mattina per decidere. Fin dall'inizio si è capito che la partita non sarebbe stata agevole. A cominciare dal fatto che Serraj e Haftar non hanno avuto un contatto vis- à vis ma hanno incontrato separatamente i mediatori russo- turchi. Inoltre Tripoli aveva posto come condizione il ritiro delle forze di Tobruk da tutte le zone conquistate, un'eventualità subito respinta dal generale padrone della Cirenaica.

Contemporaneamente un altro tavolo era stato allestito ad Ankara per un bilaterale tra il Premier italiano Giuseppe Conte e Erdogan. Un incontro che fa parte del doppio binario diplomatico italiano che vede il lavoro del presidente del Consiglio affiancato da quello della Farnesina. Luigi Di Maio, in visita nei paesi del nordAfrica. Ieri da Tunisi ha chiarito che «non ci può essere una soluzione concreta e duratura senza il coinvolgimento di Paesi vicini alla Libia, così come l'Algeria e il Marocco».

Nella capitale turca Conte ha ribadito le sue parole d'ordine: «unità, stabilità e sovranità alla Libia». E' chiaro che che tutto ciò potrà avvenire senza le «interferenze esterne» alle quali ha fatto riferimento il Premier, scommettendo sul percorso «condiviso con l'egida dell'Onu». Il ogni caso un risultato è stato raggiunto dall'Italia: partecipare come player essenziale alla conferenza di Berlino, presenza salutata anche da Erdogan nella conferenza al termine dell'incontro.