L'improvviso impazzimento sulle date sia della convocazione della giunta che dovrà dare il primo parere sull'autorizzazione a procedere contro Salvini sia sul referendum confermativo, pur essendo le due vicende di natura molto diversa, sono ispirate dalla stessa logica e denotano la medesima ossessione, non solo nei partiti della maggioranza ma anche in una cospicua parte di Forza Italia: evitare le elezioni anticipate, tenere in vita la legislatura, salvare questo governo perché altrimenti c'è il baratro del voto. La sola bussola che orienta le tattiche dei partiti di maggioranza, e spesso anche degli azzurri, è quella. Le divisioni, spesso, nascono da una valutazione diversa su quel che potrebbe rivelarsi più utile per allontanare il patibolo, al secolo le elezioni politiche.

Il tentativo di rinviare il voto della giunta su Salvini ha qualcosa di clamoroso. Per legge, infatti, la giunta deve pronunciarsi entro 30 giorni e l'aula entro 60 giorni dalla richiesta di autorizzazione a procedere. Il termine, per la giunta, scade il 20 gennaio. La presidente del Senato Casellati ha però sospeso i lavori del Senato dal 20 al 24, come da prassi alla vigilia di prove elettorali, e i partiti di maggioranza ne hanno approfittato per chiedere lo slittamento della riunione della giunta, forti di un precedente, la decisione nei confronti degli ex ministri Castelli e Matteoli. Il presidente della giunta Gasparri, forzista, ha già ufficializzato la richiesta di respingere la richiesta, considerando il caso della nave Gregoretti “in continuità con quello della Diciotti, quando l'autorizzazione fu negata.

La richiesta di rinvio deriva in tutta chiarezza, nonostante i goffi tentativi del M5S di negare l'evidenza, dalla paura che il clamore del caso e la prevista concessione dell'autorizzazione incidano negativamente sul voto dell'Emilia, e di conseguenza sulle sorti della legislatura. Bonaccini, in Emilia- Romagna, è in vantaggio ma di soli due punti. Troppo poco per sedare la paura, anzi il terrore, di una sconfitta che sarebbe resa ancora più esiziale dal fatto che, in un testa a testa come quello che si profila, la decisione dei 5S di correre da soli potrebbe rivelarsi decisiva. “A quel punto – confessano dal Pd, in forma anonima ma senza perifrasi – tenere i gruppi diventerebbe impossibile. Andare avanti nel caso che la sconfitta in Emilia dipendesse dai 5S diventerebbe impossibile fisicamente prima che politicamente”. E' vero che anche l'inglorioso espediente rischia di avere il suo costo sul mercato del voto, ma sempre meglio della scelta di mandare Salvini sotto processo sul tema dell'immigrazione a meno di una settimana dall'apertura delle urne.

L'improvvisa e imprevista decisione di 6 senatori, 4 di Fi e 2 del Pd, di ritirare le firme dalla richiesta di referendum confermativo della riforma costituzionale col taglio dei parlamentari si muove sulla stessa lunghezza d'onda. Il referendum, il cui esito favorevole al taglio appare scontato, concederebbe sei mesi ai partiti per porre fine alla legislatura e andare al voto prima che la riforma entri in vigore, garantendosi così una ben maggiore rappresentanza parlamentare. Ma questo era un rischio già presente e dunque calcolato. A spostare gli equilibri è però arrivata la diffusa sensazione che la Consulta possa dichiarare ammissibile, il 15 gennaio, il referendum della Lega per modificare la legge elettorale nel senso di un maggioritario secco. Celebrare negli stessi tempi, pur se non nello stesso giorno, i due referendum toglierebbe alla Corte costituzionale uno degli argomenti più solidi a favore dell'inammissibilità. Il referendum di Calderoli, uno dei pochi che in materia di regole si muove come un pesce nell'acqua, è infatti autoapplicativo. Delinea cioè una nuova legge tanto precisa da poter entrare subito in vigore. Detta legge richiede però un ridisegno dei collegi: di conseguenza ci sarebbe una fase di vacatio legis. L'argomento risulterebbe però spuntato ove il medesimo ridisegno dovesse essere portato a termine contestualmente in seguito al rinvio dell'entrata in vigore del taglio dei parlamentari.

Nel dubbio, i sei senatori hanno preferito ritirare le firme e il deposito in Cassazione, ieri, è così saltato all'ultimo secondo. C'è però tempo ancora fino alla mattina del 13 gennaio e il senatore forzista, ma dell'area di Mara Carfagna Voce libera, Andrea Cangini è convinto che le firme mancanti saranno sostituite in tempo. Anche in questo caso, il ragionamento è tutto su cosa aiuti di più la legislatura. Se infatti è vero che lo spettro di un possibile voto col maggioritario secco e con un terzo di parlamentari in meno potrebbe spingere i leader di partito ad anticipare il disastro votando prima dei referendum, è anche vero che qualora la legislatura arrivasse indenne ai suddetti referendum godrebbe poi di una blindatura a prova di ordigni nucleari. I parlamentari, infatti, farebbero a quel punto l'impossibile per evitare uno scioglimento della legislatura che per moltissimi implicherebbe il ben servito.

Se poi abbia senso, e quanto, e se non sia un rimedio peggiore del male ridurre la politica a una lotta per la sopravvivenza di un governo a ogni costo avremo modo di capirlo tutti nel prossimo futuro.