Ero poco più che un bambino quando frequentavo le “scuole di partito” e i corsi sulla politica europea ( che erano ambitissimi anche per la possibilità di fare viaggi e esperienze varie , una specie di Erasmus dell’epoca).

La prima lezione di politica estera iniziava più o meno così: “Ricordatevi che il Ministero degli Esteri non porta voti , ma che vi darà la possibilità di vivere la politica al massimo livello. La vera politica è politica estera”.

E’ pur vero che l’opposizione comunista faceva dell’ironia tanto che Fortebraccio diceva che il massimo per un politico italiano era farsi fare la foto davanti all’aereo per l’America o che eravamo la “Bulgaria della Nato”. Ma la storia ha dimostrato che la politica estera italiana si distingueva per la capacità di tessere un delicato filo che con giungeva il Pentagono con il Vaticano, passando per il Medio Oriente.

Gli stessi sovietici avevano rispetto di noi: Gromyko cercò di dissuadere Andreotti dall’accettare i missili Nato nella base di Comiso evocando Pompei. Il grande Giulio incassò senza battere ciglio e poi mesi dopo, approfittando di una visita russa in Italia spedì Gromyko in pieno luglio a visitare gli scavi. Il ministro russo, sfiancato dal caldo e sudatissimo, dopo poco, chiese misericordia al sovrintendente che lo accompagnava e comprese che con Andreotti non si poteva fare la voce grossa. Il confronto con l’attualità è impietoso anche se Pompei non dista molto da Pomigliano d’Arco dove è nato Di Maio. Ma in realtà noi abbiamo smesso di esprimere una politica estera da molti anni, tanto che ultimamente la Farnesina, in tutto il mondo ambita da politici di primo piano, è stata patrimonio di tecnici, magari bravissimi come Terzi e Moavero e questo sia con governi di centro ( Monti) di simil destra ( Conte 1) o parasinistra ( Conte 2).

La verità è che siamo gli unici ad avere preso per buona la profezia di Fukuyama sulla fine della storia e aver creduto alla pia illusione di “Mister Pesc” che non è il nome di un ristorante di sushi ma l’acronimo di Politica Estera Comune, che è valso a Federica Mogherini un brillante stage all’estero e poco più.

Eppure non ci vorrebbe molto a capire come riposizionarsi. Basta passare alla seconda lezione di politica estera dei miei corsi estivi di bimbo: “Per fare politica estera occorre sempre ricordare la Storia. Certe alleanze non finiscono”, Noi siamo nati come Stato perché Garibaldi sbarcò a Marsala. A farcelo arrivare ci pensò la flotta di Sua Maestà britannica alla quale serviva uno scalo via Suez per l’India.

Siamo poi rinati grazie al Piano Marshall, di cui fummo i grandi beneficiari grazie ai buoni uffici della comunità Italo americana, di cui l’attuale segretario di Stato, Pompeo, è un esponente. Abbiamo legami storici con l’America Latina ( tanto che riuscimmo a ottenere una legittima dissociazione dal resto d’Europa quando la Thatcher attaccò l’Argentina) e ci troviamo con un Presidente brasiliano originario di Lucca ( ma il sindaco di quella città gli ha temerariamente negato la cittadinanza onoraria e un invito perché non condivide la sua politica, ignorando forse la sproporzione numerica tra la superficie dell’ “arborata cerchia” lucchese e la foresta amazzonica). Ci affacciamo infine sullo stesso mare degli Arabi e di Israele e abbiamo interesse, come loro, a fare del Mediterraneo un’area non solo pacifica ma anche centrale, a differenza di tedeschi e francesi che la considerano marginale.

Ai miei tempi, per approfondire, erano consigliate anche alcune letture, tipo il celebre libro di Henry Pirenne “Maometto e Carlomagno” che esemplificava come la politica carolingia, impostata sull’asse franco- tedesco, avesse emarginato il Mediterraneo. Chiudo il baule e ripongo il quaderno per non incorrere in un attacco di nostalgia e finire a scrivere come recentemente su queste pagine ha fatto il professor Armaroli “Aridatece Andreotti !” . A me basterebbe anche Evangelisti.