Sarà un anno complicatissimo. Almeno per un Movimento 5 Stelle alle prese con addii, espulsioni e crisi identitarie. L’entusiasmo con cui i grillini avevano accolto il 2019 lascia il posto alle preoccupazioni per un 2020 iniziato tra le polemiche: le dimissioni dal governo, con conseguente fuoriuscita dal Gruppo, dell’ex ministro Lorenzo Fioramonti; la cacciata del senatore eretico Gianluigi Paragone; l’annuncio di nuovi provvedimenti per i “furbetti” della rendicontazione.

Dall’inizio della legislatura sono 19 i parlamentari pentastellati persi per strada, ma è concreto il rischio che nei prossimi mesi le truppe M5S perdano altri pezzi. Più d’uno potrebbe seguire gli ex compagni di partito Ugo Grassi, Stefano Lucidi e Francesco Urraro approdati alla Lega a metà dicembre. A lasciarlo intendere è proprio Matteo Salvini, ex alleato di Luigi Di Mao nel “Conte uno”, neo talent scout di grillini delusi dal nuovo corso giallo rosso. «Senza fare nomi ci sono tanti amministratori locali, sindaci, consiglieri regionali e diversi parlamentari che si sentono traditi da Grillo e da Di Maio i quali sono entrati in politica per contrastare i poteri forti che in Italia sono sostenuti e difesi dal Pd», dice l’ex ministro dell’Interno da Bologna, ospite della “Befana della Polizia”.

«Se vorranno proseguire la loro battaglia di cambiamento con la Lega saranno i benvenuti. E penso che nei prossimi giorni lo vedrete», annuncia Salvini alla vigilia di una delicatissima riunione in cui i probiviri del Movimento si pronunceranno sul destino di otto eletti renitenti al “rimborso”. «Sono donne e uomini che meritano rispetto e che in tanti casi stanno soffrendo perché non è una scelta facile, però, ci saranno belle sorprese», rincara la dose il segretario del Carroccio, strizzando ancora l’occhio a senatori Michele Giarrusso e Lillo Ciampolillo, e ai deputati Luigi Acunzo, Nadia Aprile, Santi Cappellani, Paolo Romano, Andrea Vallascas e Flora Frate. Sono loro i parlamentari finiti sotto la lente d’ingrandimento del “tribunale pentastellato”.

Non rendicontano da un anno e non sembrano intenzionati a cambiare idea. Giarrusso, dice ad esempio di non poter restituire quel denaro «perché questi soldi li ho dovuti accantonare per affrontare cause civili e penali che sono state intentate contro di me per quanto ho fatto nell’ambito della mia attività politica». Se poi alle mancate restituzioni si aggiunge il dissenso più volte palesato nei confronti del capo politico e un pizzico di nostalgia per la vecchia coalizione di governo, ecco che le parole di Salvini assumono un significato preciso.

«I cinquestelle sono nati proprio in Emilia per mandare a casa il Pd e il suo sistema di potere, adesso si trovano alleati a Renzi, a Zingaretti, a Franceschini e a Gentiloni», insiste il numero uno della Lega. «È chiaro che molti degli elettori e molti degli eletti non ce la fanno e se qualcuno vuole proseguire la sua battaglia di cambiamento con la Lega, le porte sono aperte». Un problema in più per i probiviri Raffaella Andreola, Jacopo Berti e Fabiana Dadone che oggi valuteranno i casi dei “morosi” insieme ai capigruppo Davide Crippa e Gianluca Perilli, e ai membri del comitato di garanzia Giancarlo Cancelleri, Vito Crimi e Roberta Lombardi.

Anche perché a rischio espulsione potrebbero esserci anche altri parlamentari, come la deputata Dalila Nesci che ieri ha pubblicato su Facebook un video molto critico nei confronti del Movimento. «Le rendicontazioni dovevano essere un vanto, un’azione politica gioiosa da rilanciare per il suo significato politico simbolico. Ed invece viene tirato fuori come “clava” mediatica dai vertici del M5S per delegittimare i portavoce», spiega la grillina a cui Di Maio ha impedito di concorrere per la carica di governatore della Calabria.

«Io mi ribello a questo appiattimento ridicolo del M5S che adesso fa delle rendicontazioni in denaro il suo argomento di distrazione», attacca Nesci. «Il Re è nudo. Ho fatto denunce contro la ‘ ndrangheta figuriamoci se ho paura dei probiviri». Non solo: «da questo momento» la deputata calabrese annuncia che non rendiconterà più una lira sulla «piattaforma» di partito, destinerà in prima persona una parte del suo stipendio ad associazioni «sul territorio impegnate in attività culturali, diritti dei minori e assistenza ai malati di Sla». E difficilmente il “tribunale grillino” potrà ignorare questo nuovo affronto.

Chi, invece, non ha alcuna intenzione di farsi buttare fuori senza clamore è l’ex leghista Paragone, espulso dal Movimento il primo gennaio. Il senatore ha fatto sapere di aver “arruolato” l’avvocato Lorenzo Borrè, lo storico legale degli epurati, per perorare la sua causa. «Ho fatto il ricorso davanti al collegio dei garanti», racconta l’ex direttore della Padania. «Poi, se dovesse venire rifiutato, a quel punto impugnerò l’espulsione davanti al giudice ordinario chiedendo una procedura d’urgenza». E in attesa della guerra a colpi di carte bollate, Matteo Salvini si gode il momento nero dell’ex alleato. Con una sola certezza: sarà un anno complicatissimo. Per il Movimento 5 Stelle.