Volevo prendermi delle vacanze in pace nel paese natio. Un piccolo borgo sulle pendici dell’Amata, quelle mirabilmente descritte cinque secoli orsono dal grande umanista Enea Silvio Piccolomini nel suo De Itinere amiatino.

Senonché nel fare gli auguri ad un caro amico, un imprenditore geniale come Ubaldo Corsini che da figlio di fornaio è diventato un protagonista dell’industria dolciaria italiana nel mondo, mi sono sentito dire con voce grave: ma fai qualcosa tu che scrivi nei giornali.

Intendeva dire che l’ennesima interruzione della via Cassia, la grande via di comunicazione romana, che passa fra l’Amiata e Radicofani, il castello da cui Ghino di Tacco calava come un falco per depredare i pellegrini che si recavano a Roma, provoca un grande danno a quel che resta delle attività economiche e turistiche della Montagna. Qualche tempo fa la Cassia rimase interrotta per via di un ponte pericolante perché nessuno aveva mai rimosso i tronchi degli alberi incastrati nei piloni. Ora una nuova interruzione di questa importante arteria perché il fiume Paglia, ingrossato dalle piogge di Novembre, ha eroso l’argine fino a minacciare il manto stradale della Cassia.

Si tenga presente che pochi chilometri più a sud c’è un ponte sul fiume Paglia costruito dai romani e poi rifatto nel ‘ 500 da Papa Gregorio XIII che sta lì da secoli. Pensate che in un mese circa, dopo aver messo i soliti cartelli, non si è trovato il modo di frenare con dei semplici gabbioni, come si è sempre fatto quando gli enti di bonifica servivano a qualcosa, la forza del fiume.

Poi si parla di mutamento climatico con una retorica assordante, senza capire che le civiltà hanno affrontato da sempre questi mutamenti non con montagne di chiacchiere, ma con i fatti.

Non lontano dalla Cassia, proprio dove si è verificata l’interruzione, una “folla enorme” di qualche decina di ambientalisti è riuscita a bloccare il progetto di una nuova centrale geotermica, ma non ha mosso un dito per spingere gli enti competenti ad occuparsi della manutenzione del fiume Paglia e dei suoi affluenti che scendono giù dalle pendici dell’Amiata.

Episodi piccoli, direte, rispetto al disastro di Genova e della viabilità interrotta in un’area nevralgica di quello che una volta era chiamato il triangolo industriale, asse portante dell’intera economia Italiana.

In realtà si tratta di episodi esemplari di una malattia che da più di un quarto di secolo ha colpito l’intero stato italiano: l’assenza di cura e manutenzione delle infrastrutture materiali. Un’incuria che risulta agli osservatori più attenti e indipendenti speculare alla mancata manutenzione istituzionale e morale della compagine statuale dell’intero paese. Una malattia che riguarda tutte le articolazioni amministrative dello stato comprese le magistrature, la scuola, l’università e la sequela di enti utili e inutili. Se prima o poi usciremo dalla retorica natalizia e da quella ben più fastidiosa del circolo politico mediatico, ci dovremo occupare di questa realtà.

Il presidente della repubblica ha esortato la classe politica ad avere fiducia negli italiani, ma la verità è che molti italiani non hanno più alcuna fiducia nelle istituzioni e nell’intera classe politica. E ne hanno motivo.