Sergio Mattarella non è e non vuole essere quello che si dice un gigione. Il suo dire non è impreziosito da effetti speciali e da fuochi d’artificio cari a quel grande attore che era Sandro Pertini. Un Presidente che ha rinverdito le glorie di quei discorsi al caminetto di quell’affabulatore del presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt. Né l’attuale inquilino del Colle è paragonabile sotto il profilo spettacolare a Francesco Cossiga. Il Cossiga del biennio picconatorio, beninteso. Perché l’altro, il sardo muto del precedente quinquennio, era di tutt’altra pasta.

Tant’è che quel toscanaccio di Indro Montanelli scrisse che se doveva starsene zitto e muto, il Quirinale non faceva per lui. No, gli sarebbero bastate due camere e cucina. Ma tale era la considerazione di Cossiga per il Fucecchiese, che voleva nominarlo senatore a vita. E, novello Celestino V, lui oppose un gran rifiuto perché intendeva essere fino all’ultimo soltanto un giornalista.

Il genius loci, d’altra parte, ha la sua brava importanza. Non tutti i siciliani sono uguali. Gli abitanti di Catania, considerata la Milano del Sud, sono solari, estroversi. Basti pensare a un’Anna Finocchiaro o a un Enzo Trantino, famoso per le sue battutacce. Come quella secondo la quale Gianfranco Fini faceva correre le Cinquecento e – quando si dice il genio – lasciava in autorimessa le Ferrari. Invece i palermitani sono piuttosto chiusi, lunari. Leonardo Sciascia, se non a Palermo era nato da quelle parti, aveva tutta l’aria con i suoi silenzi di un mistero avvolto in un enigma come il Cremlino del tempo che fu.

La regìa del messaggio di fine anno di Mattarella, per cominciare, presenta luci e ombre. Bene quel presepe, che significa mangiatoia e in senso lato stalla, dietro il Presidente. A significare rispetto nei confronti delle nostre tradizioni, che non possono essere gettate alle ortiche per un malinteso senso di rispetto nei riguardi di chi è nostro ospite. Male invece quella seggiola in mezzo alla stanza. Come se il Presidente non potesse giovarsi della scrivania perché degli imbianchini stanno rinfrescando le pareti. Insomma, un senso del provvisorio che contrasta con la solidità di Mattarella.

E veniamo al merito delle sue parole. La verità è che Mattarella, non essendo un fine dicitore, non va solo ascoltato. No, subito dopo va letto e riletto. Perché verba volant, come usa dire, scripta manent. E vi accorgerete che, pennarello in mano, sono tante le cose da sottolineare e da mandare a mente. Qui ne voglio rimarcare soltanto una, che però fa da filo conduttore di tutto quanto il messaggio presidenziale. L’incipit è di marca schiettamente degasperiana. Questa, dice Mattarella, è un’occasione per pensare al domani. Ecco, non aveva forse detto lo statista trentino che i politici guardano alle future elezioni, mentre i sagaci uomini di governo guardano alle future generazioni? Ma non possiamo entrare nel futuro se non con la nostra identità italiana. L’Italia di Leonardo, di Raffaello, di Dante. Un’Italia caratterizzata dalla sua arte e dai suoi paesaggi meravigliosi, dalla sua creatività e dal suo stile di vita.

Insomma, abbiamo un patrimonio inestimabile. Perciò dobbiamo nutrire fiducia. Del resto, non ci mancano grandi risorse: di umanità, d’ingegno, di capacità d’impresa. Insieme, ecco la ricetta, possiamo farcela. A patto, però, che le istituzioni pubbliche funzionino a dovere. Con “decisioni adeguate, efficaci e tempestive”. Perché, incalza Mattarella, la democrazia si rafforza se le istituzioni tengono viva una ragionevole speranza. E il senso civico deve valere in alto e in basso, nel cosiddetto Pae- se legale e nel Paese reale. Repetita iuvant.

Senso civico. Senso della misura. Competenza. Chissà se ai nostri governanti e ai nostri concittadini, in buona sostanza a tutti noi, saranno fischiate le orecchie. Per l’appunto con senso della misura Mattarella ha impartito a tutti una salutare lezione di educazione civica. E nessuno più di lui ne ha titolo, professore di diritto parlamentare, deputato e uomo di governo di lungo corso. L’apparenza non inganni. Difatti di Mattarella – guardate un po’ quanta grazia – non ce n’è uno solo. Ce ne sono due un po’ distinti, se non distanti, tra loro.

Il Mattarella pubblico, riservato, per qualche verso un po’ impacciato e un tantino fragile a prima vista. E il Mattarella privato, pieno d’ironia, gran signore, uomo colto e costruito con il fil di ferro. Come hanno potuto sperimentare a loro spese tutti i suoi interlocutori di ieri e di oggi. Con l’aria che tira, non basta un presidente della Repubblica. No, ce ne occorrono almeno due. E così sia.