Mentre Beppe Grillo cerca «un’idea» che riporti in vita lo spirito guerriero del Movimento, nel partito è iniziato il processo a Gianluigi Paragone. Il senatore anti dem è stato infatti deferito al collegio dei probiviri per aver votato contro la Manovra. Non solo, l’ex direttore della Padania è finito nel mirino dei vertici grillini anche per i continui attacchi al capo politico e per le varie posizioni assunte in dissenso dal Gruppo nel corso delle ultime settimane. Un atteggiamento ostile che a molti parlamentari non è per nulla andato giù, tanto da spingere persino un big del partito, come il Guardasigilli Alfonso Bonafede, a chiedere pubblicamente un passo indietro all’ex conduttore televisivo.

Il diretto interessato non sembra però scomporsi neanche davanti alla possibilità di provvedimenti disciplinari. «Ora manderò le mie osservazioni, risponderò a tutto», dice Paragone. «Chi pensa che me ne vada si sbaglia di grosso. Non ho un carattere facile, ora ci divertiamo...», aggiunge. Perché il senatore ribelle è convinto che a essere uscito fuori linea non sia lui, ma Luigi Di Maio, di cui Paragone non riconosce più l’autorità politica. «Per espellermi dovranno sudare, si apra questo procedimento, io difenderò le mie ragioni facendo valere il programma. Sarò io a vincerla», insiste l’ex direttore del quotidiano leghista, mostrando il dito medio a chi gli prospetta l’eventualità di un “cartellino rosso” sventolato dai probiviri.

Paragone è convinto che alla fine nessuno lo caccerà. Del resto, il giornalista- senatore continua a trascorrere molto tempo insieme ad Alessandro Di Battista - con cui condivide lo scetticismo nei confronti dell’alleanza giallo- rossa - e forse per questo si sente abbastanza al sicuro da possibili “ritorsioni”. Un’espulsione «vorrebbe dire che il programma elettorale è una burla, visto che lì c’erano scritte le stesse cose che io dico anche ora. Io voglio rimanere fedele al programma elettorale, difendo i miei “no”», argomenta Paragone, mettendo così in discussione non solo il capo politico, ma anche il fondatore, Grillo, regista della svolta di Bibbiona, che portò Conte tra “le braccia” di Zingaretti.

Una svolta costata al partito una spaccatura apparentemente irrimediabile di cui Paragone vuole farsi interprete, mentre i gruppi si sgretolano tra personalismi e dissensi. Non è forse un caso che a prendere le difese d’ufficio di Paragone sia l’eurodeputato Ignazio Corrao, fresco di promozione al grado di “facilitatore”, eletto nel listino bloccato di Di Maio. Corrao, che in Europa ha votato contro la commissione targata Ursula, in contrasto col suo gruppo, rappresenta l’ala irriducibile del Movimento, allergica a ogni normalizzazione. Anche per questo l’ex direttore della Padania è libero di attaccare: «Non si può rinnegare quello che dicevamo e che Grillo diceva sull’Europa e sulla sovranità. Se questa manovra restrittiva l’avesse fatta il governo precedente con Tria io non l’avrei votata comunque», accusa di Paragone, prima di smentire le voci su un suo ritorno di fiamma. «Come si può pensare che io possa passare alla Lega quando la Lega si è innamorata di Mario Draghi?».

Il Garante del Movimento non commenta. Lascia che ognuno esprima la sua posizione liberamente. E che magari liberamente decida di prendere altre strade: con un Gruppo pieno di nostalgici del Carroccio la svolta mancina del partito non sarà possibile, meglio liberarsi lentamente di chi potrebbe sabotare il progetto di lungo termine nato all’indomani del Papeete.

«È una questione di spirito, di umanità di parole “guerriere” che sono dentro di noi», dice Grillo, dopo aver incontrato il presidente della Camera, Roberto Fico, all’Hotel Forum. «Qualcosa è rimasto e tornerà fuori ancora più potente. Ci vuole l’occasione, ci vuole una idea e noi ci stiamo pensando», afferma il fondatore alla disperata ricerca di una scossa che possa rilanciare la sua creatura. «Ci saranno delle sorprese che adesso non posso dire», garantisce Grillo. E in attesa annunciare novità, il comico guarda a ciò che già si muove nella società, fuori dai recinti partitici: le sardine. «Non chiediamogli di essere quello che non sono», scrive sul suo Blog. «Sono solo un commando dell’ufficio d’igiene per ristabilire la salute pubblica».

Un movimento che agisce «nel vuoto di inventiva dei partiti e degli intellettuali». Per questo «tutti gli chiedono tutto. Lasciamole in pace. Sardine, continuate a disinfettare». Grillo, incuriosito e malinconico, guarda a questi «giovani, puliti, entusiasti, grandiosi», come a un movimento che lotta per «l’igiene della parola. Reclamano una convalescenza vigorosa dalla attuale malattia delle lingue e delle menti che fa sembrare certe espressioni pubbliche un vociare roco di hooligan pronti al balzo, oppure un minacciare gradasso di un capobanda», scrive ancora “l’Elevato”, prima di concedersi un po’ di autocritica: «Anche noi in passato abbiamo un po’ esagerato. Ma ora non lo facciamo più», è l’auspicio. I tempi della richiesta di impeachment per Mattarella sono finiti. Almeno per il momento.