Decine di telefonate ai familiari, ai poliziotti che si occupavano della sua sicurezza e ai pm che gestivano la sua collaborazione con la giustizia. Parliamo delle trascrizioni sbobinate di recente a Roma dai carabinieri del Racis per conto della Procura di Messina e che sono state trasmesse alla procura di Caltanissetta che le ha depositate al processo sul depistaggio. Tutto come annunciato nella scorsa udienza del procedimento che vede sotto accusa tre dei poliziotti del pool che indagava sulla strage di via D’Amelio. Sono state quindi rese pubbliche – grazie ai lanci dell’agenzia Adnkronos - le intercettazioni del falso pentito registrate nella primavera del 1995 quando l'ex ' picciotto' della Guadagna era in Liguria con la sua famiglia.

Il quadro che emerge non è chiaro come ci si aspettava, ma crea sicuramente molti dubbi, anche relativamente all’approccio che ebbero i pm Annamaria Palma e Carmelo Petralia, che coordinavano l'inchiesta, e che ora sono indagati a Messina con l'accusa di aver imbeccato il falso pentito. «Iniziamo un lavoro importantissimo che è quello della sua preparazione alla deposizione al dibattimento… mi sono spiegato Vincenzo… se sente pronto lei…», dice il pm Carmelo Petralia rivolto a Scarantino. Siamo nel 1994 e Scarantino aveva iniziato da poco tempo a collaborare con la giustizia e aveva già accusato ingiustamente diverse persone per la strage.

«Sicuramente ci sarà anche il dottor Tinebra – dice ancora Petralia a Scarantino riferendosi all’allora procuratore di Caltanissetta – quindi tutto lo staff delle persone che lei conosce. E lei potrà parlare con Tinebra, con La Barbera di tutti i suoi problemi, così li affrontiamo in modo completo». Poco prima Petralia dice a Scarantino, come si legge nelle trascrizioni delle bobine depositate: «Ci dobbiamo tenere molto forti perché siamo alla vigilia della deposizione».

Poi in una altra trascrizione appare la telefonata con la pm Annamaria Palma. «Mi hanno detto che io sono un collaboratore della polizia non della magistratura», le dice. Ma il magistrato, che ha coordinato le prime indagini sulla strage di via D’Amelio, rassicura Scarantino: «No, no. Lei è un collaboratore con tanto di programma di protezione, già disposto dal ministero. Quindi, dalla Commissione speciale, per cui questo suo discorso è sbagliato». Ma Scarantino ribatte: «non è che l’ho detto io, me lo hanno detto».

In una’altra telefonata, ad esempio, Scarantino dice sempre alla pm Palma che ha «paura di andare a Genova» per un interrogatorio. Ma «la sua interlocutrice scrivono i poliziotti nella trascrizione - lo rassicura in merito alla sicurezza dei trasferimenti che dovrà effettuare, ma il pentito le spiega che ci sono delle persone che dovrà incontrare che a lui non piacciono, specificando, a domanda, che non si tratta della dottoressa ( Sabatino ndr) bensì di individui che sono in quell'ufficio».

L’agenzia Adnkronos rivela anche altre telefonate, questa volta rivolte ai familiari. «Angelo Basile, fratello della moglie - scrivono i carabinieri nelle trascrizioni - come la madre, esterna dubbi in merito alla scelta di collaborare presa dal cognato il quale, a suo parere, avrebbe ricevuto pressioni in merito. Scarantino invece nega dicendo che la sua scelta non è stata dettata né dalla detenzione di Pianosa né da eventuali pressioni».

Ma cade in contraddizione, invece, con quanto lo stesso Scarantino disse alla moglie Rosalia Basile, nel corso di un colloquio nel carcere di Pianosa: «Non ce la faccio più a Pianosa. O mi impicco, oppure inizio a collaborare con i magistrati». Ricordiamo che durante il processo, che si sta celebrando a Caltanissetta, ha deposto l’ex moglie, la quale ha parlato proprio del suo colloquio quando il falso pentito era recluso nel carcere speciale. «Prima dell’arresto pesava più di cento chili, ma già a Venezia trovai la metà della persona che lui era - ha raccontato-.

A Pianosa lo trovai con la barba incolta, gli occhi strani, sembrava un animale, era proprio irriconoscibile. Lo minacciavano anche di morte, dicevano che se lui non collaborava gli facevano fare la stessa fine di un certo Gioè ( Antonino ndr), un ragazzo ucciso in carcere. Era Arnaldo La Barbera che gli faceva questi discorsi».

Scarantino avrebbe raccontato all'ex moglie di aver subito maltrattamenti di ogni tipo, fisici tipo mettergli vermi nel cibo. Ascoltate queste confidenze del marito, la donna resta basita. Vorrebbe aiutarlo, fare qualcosa per tirarlo fuori da quella situazione. «Scrissi a tutti, al presidente della Repubblica di allora, andai anche a Roma per tentare di parlare col Papa – ha raccontato in udienza-. Sono andata anche a Cinecittà per fermare Funari ( Gianfranco, l’ex conduttore televisivo ndr) e parlare con lui ma non ci sono riuscita, sono andata persino sotto casa di Agnese Borsellino per dirle che mio marito lo stavano ammazzando e che non c’entrava niente… è sceso un signore in portineria, mi disse che non era il caso di parlare con loro, non se la sentivano, erano in lutto».

Ci sono altre trascrizioni depositate dei colloqui con la moglie. «Vincenzo le dice - trascrivono gli investigatori che ha parlato con i giudici in merito a degli omicidi e fa dei nomi incomprensibili. Rosalia Basile riferisce che lui è veramente impazzito e che ha sentito le notizie della televisione. Lui le chiede se vuole parlare con i poliziotti e con i magistrati ricevendo una risposta negativa».

A quel punto Scarantino si alza e abbraccia la moglie bisbigliandole all'orecchio e poi le dice a voce più alta: «I bambini cresceranno con tanta dignità, con tanta educazione». Da lì a poco, Scarantino decise di collaborare con la giustizia e si concretizzò il depistaggio. L’avvocato Giuseppe Seminara, che difende due dei tre poliziotti sotto processo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, a proposito di queste intercettazioni dice all’Adnkronos: «A un primo esame, sono prive di qualunque valenza accusatoria, essendo pressoché irrilevanti. Questo processo mediatico si fonda su elementi suggestivi che, stanteil lunghissimo tempo trascorso, sono difficili da confutareLe acquisite intercettazioni, come altri elementi sopravvenuti, sono state, grazie all’attività della procura di Messina, a nostro avviso favorevoli rispetto alla posizione degli imputati».