Forse la Nato non sarò in stato di «morte cerebrale» come detto da Emmanuel Macron, ma sicuramente alcune sue nervature fondamentali sono disconnesse. A Watford nei dintorni di Londra sta andando in scena uno dei vertici più difficoltosi dell'Alleanza Atlantica. Da un lato diversi paesi europei, Francia in testa, con il supporto del Canada, e dall'altro Stati Uniti, Gran Bretagna e la Turchia.

Alleanze di comodo, date da convenienze momentanee probabilmente, ma anche il segno del ridisegnarsi di nuovi equilibri nello scacchiere geostrategico. I motivi dello scontro sono apparsi chiari fin dalla vigilia, le dichiarazioni di Macron hanno provocato la reazione di Trump, poi il protagonismo di Erdogan deciso a “lucrare” il più possibile dalle divisioni occidentali per consolidare la sua posizione in Siria. In ultimo, ieri, le esternazioni di Boris Johnson che ha rivendicato il ruolo inglese come collante del Patto: «Fino a quando stiamo uniti nessuno può sperare di sconfiggerci e quindi nessuno inizierà una guerra». Unità, ma fino ad un certo punto, innanzitutto perchè martedì, momento di prevertice, si sono tenuti numerosi incontri bilaterali non programmati.

Nelle conferenze stampa successive sono emersi tutti i contrasti. Così se ieri era in programma un tavolo per parlare di attacchi informatici e della sfida strategica posta dalla Cina, il sottofondo era sempre lo stesso: la questione dei finanziuamenti di ciascun paese e le richieste turche per inserire le milizie curde tra le organizzazioni terroristiche pena una non adesione all'ombrello difensivo per i paesi baltici. Nel primo caso Bo- Jo ha sposato la causa statunitense e rilanciato se stesso: «Siamo il maggior contributore fra gli alleati europei della Readiness Initiative della Nato».

Tradotto: non come gli altri paesi, cioè quelli che Trump ha accusato di negligenza a più riprese. Una sponda colta al volo da Washington che ha pubblicamente attaccato il premier canadese Trudeau: «la verità è che io gli ho rinfacciato il fatto che non sta pagando il 2% e non è molto felice per questo».

In realtà quella americana è una stilettata arrivata dopo che Trudeau è stato colto in un fuori onda televisivo, insieme a Macron, Johnson e l'olandese Mark Rutte, nel quale commentava il ritardo di Trump al tavolo di discussione: «E' in ritardo perchè ha avuto una conferenza stampa fuori programma di 40 minuti.

Dovevate vedere la faccia dello staff, erano a bocca a perta con le mascelle a terra». Battute, folklore da vertice, ma anche il segno di un divario sempre più largo.