Nell’editoriale del 29 novembre scorso, dal titolo “Sindrome da rissa continua”, il direttore Carlo Fusi ha scritto che il governo è troppo debole per cadere. Un paradosso che, come tutti i paradossi, ha un fondo di verità. Ma in questa valle di lacrime che è il nostro Belpaese, è ben vero che Giuseppe Conte, pur di durare, si sta attrezzando per i miracoli.

Ma un uomo della previdenza come il presidente del Consiglio pro tempore non può contare in eterno sulla Divina Provvidenza. Perciò, prima o poi, dovrà pur alzare entrambe le braccia in segno di resa. Sì, ma quando? E con quale legge elettorale? Ecco il busillis. Che questo sia l’ultimo governo della legislatura non lo diciamo noi ma lo ha fatto chiaramente intendere Sergio Mattarella, un uomo abituato a misurare le parole.

Perciò non può far piacere ai rappresentanti del popolo, tra i quali i miracolati non si contano, anticipare come tanti tacchini il giorno del Ringraziamento, quando finiranno regolarmente in pentola. Insomma, l’importante è durare. Come sosteneva uno che se ne intendeva. Dopo tutto, da che mondo è mondo, un pugno di “responsabili” a sostegno del governo in carica si trova sempre. E poi c’è chi, come lo sfrontato Matteo Renzi, dichiara che la legislatura deve andare avanti almeno fino all’elezione del nuovo presidente della Repubblica.

Perché? Per il semplice motivo che altrimenti sarà il centrodestra, dopo aver vinto le elezioni, a eleggere il successore di Mattarella.

Evviva la faccia della sincerità.

Fatto sta che di qui a poco può succedere di tutto: anche le dimissioni del governo, lo scioglimento anticipato delle Camere e nuove elezioni. E non è detto che sia una dannata ipotesi.

Ecco perché. Com’è noto, il 12 ottobre scorso è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge costituzionale che riduce il numero dei deputati da 630 a 400 e dei senatori elettivi da 315 a 200. Ma la legge è stata approvata in seconda deliberazione a maggioranza assoluta dei componenti e non già con il quorum dei due terzi. Perciò, recita la Costituzione, entro tre mesi – che scadono il 12 gennaio – può essere richiesto referendum confermativo.

Se non lo richiedono né un quinto dei membri di una Camera né cinquecentomila elettori né cinque Consigli regionali, il capo dello Stato procede alla promulgazione della legge costituzionale.

Che però entrerà in vigore non prima che siano decorsi sessanta giorni dalla promulgazione. Termine, a norma della legge 51 di quest’anno, entro il quale il governo è delegato al ritaglio dei collegi.

Ne consegue che se entro tale data, a metà marzo all’incirca, interverrà lo scioglimento anticipato delle Camere, si voterà in base alla Costituzione vigente. I deputati resteranno 630 e i senatori elettivi 315. Una bella abbuffata. Ci saranno posti e gloria per tutti. Se invece i senatori promotori del referendum confermativo della legge costituzionale, in primis l’azzurro Andrea Cangini, riusciranno a raccogliere le prescritte 65 firme, l’entrata in vigore della legge sul taglio dei parlamentari slitterà presumibilmente a settembre, dati i tempi previsti dalla legge 352 del 1970 per il suo effettivo svolgimento. E fino ad allora i deputati resteranno 630 e i senatori elettivi 315. Poi, delle due l’una. O il referendum non conferma la legge, e tutto rimarrà come adesso. O il referendum conferma la legge, e allora a partire dal successivo scioglimento delle Camere i deputati e i senatori elettivi da eleggere saranno rispettivamente 400 e 200.

Ma non è tutto. Difatti il senatore leghista Calderoli ha promosso un referendum abrogativo, ma in realtà manipolativo, dell’attuale legge elettorale, il cosiddetto Rosatellum, allo scopo di ottenere grazie a un sapiente ritaglio normativo una legge elettorale all’inglese: l’uninominale secca. Tanto per capirci, i seggi sono tanti quanti sono i parlamentari da eleggere. Chi ottiene nel collegio più voti, è eletto. E gli altri concorrenti restano a bocca asciutta.

Otto Consigli regionali hanno richiesto questo referendum della Lega. La Cassazione ha già dato disco verde. Entro il 10 febbraio la Corte costituzionale si pronuncerà sulla sua ammissibilità. Se darà il proprio assenso, saremo chiamati alle urne in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno. Se avrà partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se sarà raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi, la proposta soggetta a referendum verrà approvata.

Con il risultato che eleggeremo i parlamentari con il sistema all’inglese.

Tuttavia, nel caso di anticipato scioglimento delle Camere, il referendum già indetto dal capo dello Stato s’intende automaticamente sospeso e il suo svolgimento slitta di un anno. Un rompicapo, me ne rendo conto. Ma così stabilisce quella gaia scienza che è il diritto costituzionale.