Difficile argomento da trattare, quello del nascente movimento delle sardine. Il rischio, in epoca social, è di essere tacciati, come minimo, di disfattismo, se non si aderisce acriticamente alla novità che ha portato, sotto la pioggia, migliaia di persone unite dalla voglia di dimostrare che un’Italia contraria alla temuta maggioranza salviniana esiste.

Questo, in un’ottica genericamente ottimista e di sinistra, come la puttana di una famosa canzone di Lucio Dalla, è una buona cosa. Un’ottima cosa, anzi. La dimostrazione che il paese non è ancora completamente groggy, rintronato dalla sovraesposizione mediatica da talk show e, soprattutto, schiavo dell’obbligo di esprimere, nei socialnetwork, un’opinione spesso sgangherata e superficiale. L’esigenza di fare qualcosa, rinunciando all’immobilismo che stava tessendo una pericolosa rete nella coscienza politica collettiva.

Perciò è necessario non sottrarsi a un’analisi più pacata e approfondita dell’argomento, con i pochi elementi finora a disposizione.

Le sardine possono permettersi un nome così birichino perché sono un gruppo d’azione giovane e gestito da giovani, come il trentaduenne Mattia, autorizzato a parlare a nome del movimento. Il pensiero va a certi leader del movimento studentesco europeo degli anni a cavallo tra i ’ 60 e i ‘ 70, eletti portavoce per acclamazione o per meriti acquisiti sul campo.

La domanda che tutti devono porsi è: qual è il ruolo di un movimento politico? Cosa lo differenzia dalla complessa organizzazione di un partito? La risposta non è difficile. Il movimento, qualunque movimento, ha nel DNA un dono fra i più preziosi nella vita sociale. Un dono la cui importanza è in crescita esponenziale, che si chiama capacità di aggregazione.

La durabilità nel tempo di questo bene dipende da fattori ormai piuttosto chiari da individuare, grazie alle esperienze vissute lo scorso secolo ( il movimento studentesco) e reiterate con allarmante frequenza nel terzo millennio: i girotondi, il popolo viola, i cinque stelle, i forconi, i gilet gialli. Tutti segnali, a vario titolo e con diversi orientamenti ideologici, di una sfiducia crescente nel ruolo centrale della politica, attaccata come se non fosse il soggetto insostituibile della vita democratica che invece è, ma una zavorra, un vecchio orpello nelle mani di losche confraternite da smascherare e annientare.

Non mi pare questo il caso delle sardine, almeno finora. Ma i sardinisti, abili opportunisti pronti a fornire il proprio vessillo a un movimento per natura più portato alla protesta che alla gestione della cosa pubblica, sono già in agguato. Il movimento senza bandiere deve averne per forza una, ed è già divampata la lotta per stabilire quale debba essere.

Ed ecco il punto. Un movimento di idee è una luce destinata a risplendere a tempo determinato. Deve resistere alle lusinghe interessate, se vuole fornire alla comunità i vantaggi, le illuminazioni che la sua scintilla vitale ha liberato contro ogni pronostico.

Saranno i politici migliori, non gli interessati sardinisti della prima ora, a mettere a frutto la pesca miracolosa che il mare nostrum ci ha inopinatamente inviato, riconvertendola in politica concreta, al riparo dal populismo che potrebbe trasformarla beffardamente nell’ennesimo clone di se stesso.