«La maggior parte delle volte ci troviamo obbligati a sottometterci a una forza maggiore, ma ogni tanto qualcuno si ferma, si erge e dice no. Soprattutto tra i più giovani. Quello è un buon giorno per qualsiasi democrazia, che sia compiuta o meno».

Parola di Wole Soyinka, drammaturgo e saggista nigeriano, il primo africano a vincere il premio Nobel per la letteratura nel 1986. Incontrato a margine del congresso mondiale dell’International Press Institute di Abuja, in Nigeria, con al centro il tema della libertà di pensiero e di espressione, abbiamo affrontato con l’autore tematiche di stringente attualità.

Da metà novembre Soyinka è in Italia per presentare il suo ultimo lavoro, la raccolta di saggi Del Potere e Della Libertà in cui l'autore interviene su temi a lui sempre cari: le migrazioni, l’integrazione e, appunto, il potere e l’abuso dello stesso.

In questi scritti inediti, Soyinka esprime parole di concreta speranza, una ferma convinzione: «La libertà è la vera casa dell’uomo, e l’uomo può costruirla sia in paesi ricchi che in condizioni di povertà, che non è miseria né schiavitù».

Il “dogma del potere”, come lei lo definisce, sembra estendersi anche in realtà apparentemente immunizzate dall’antidoto della democrazia. Qual è la sua visione?

Oggi l’umanità si confronta con lo stesso nemico che la libertà ha avuto sin da quando gli uomini si sono riuniti in società, quel nemico è conosciuto come il Potere. Oggi la più grande minaccia con cui ci confrontiamo, in Africa come in Europa o nel resto del mondo, è l’arroganza politica e il fanatismo religioso, che sono portatori di repressione e chiusura intellettuale e di pensiero. Per questo è necessario alzare la testa, combattere l’avanzata di politiche sovraniste. Chi non protegge i propri diritti favorisce il sorgere del fascismo, nei luoghi più inaspettati.

Lei ha messo più volte in guardia sul pericolo dell’autocensura nel suo Paese ma resta ottimista per il futuro della libertà di stampa?

In Nigeria al momento il livello di libertà di stampa raggiunge a malapena il 55% ma, se si riuscisse ad aggirare le aree grigie che implicano sottomissione e le pressioni di cui nella maggior parte dei casi l’opinione pubblica non è a conoscenza, potrebbe migliorare in un paio d'anni.

Quanto costa difendere la libertà di stampa e di pensiero?

Non è facile affermare i proprio diritti in contesti come quello nigeriano e africano in generale. Ma bisogna avere il coraggio di far saltare l'arroganza e la presunzione di coloro che cercano di controllare il diritto delle persone alla libertà di parola anche se si rischia di perdere quella personale. Non far nulla per proteggere i propri diritti è il modo certo per perderli per sempre.

Il suo è stato un impegno pagato a caro prezzo. Ha vissuto a lungo in esilio negli Usa. Dopo la morte di Abacha è tornato in Nigeria. Ha anche rinunciato alla green card negli Stati Uniti. Perché?

Dopo l’elezione di Trump mi sentivo a disagio. La sua politica xenofoba e razzista mi ha spinto verso questa decisione. Lo avevo anticipato ai miei amici già durante la campagna elettorale. Quanto Trump è stato eletto la scelta di non volermi più sentire cittadino americano si è concretizzata nell’atto formale di restituire la green card. Ma torno spesso in America, e continuerò a farlo, per conferenze e soprattutto rivedere amici. La Nigeria è casa mia, in fondo da qui non sono mai andato via.

Nel 2014 le è stato diagnosticato un carcinoma prostatico in fase iniziale. Ha combattuto il male e ha fatto di questa esperienza un messaggio di speranza. Ora come sta?

Sono passati un po’ di anni. Da allora, dopo aver subito un trattamento che ha fermato il cancro, sono in buona salute. Cerco di prendermi cura di me stesso, passo molto tempo all'aria aperta. Sono l’esempio vivente che sconfiggere questo terribile male è possibile. A chi si ammala sento di poter dire che, se la si affronta con resilienza e determinazione, si può uscire vincitori dalla battaglia contro il cancro.