L’attacco allo stato di diritto ed alla democrazia passa attraverso l’esercizio dell’intimidazione e della violenza nei confronti degli avvocati. Ne sono esempio i quattro colleghi iraniani ai quali il Consiglio degli Ordini Forensi d'Europa ( CCBE), che rappresenta gli avvocati di 45 Paesi, ha assegnato il Premio Diritti Umani 2019. Detenuti e condannati a durissime pene, addirittura corporali come le frustate, Nasrin Sotoudeh, Abdolfattah Soltani, Mohammad Najafi e Amirsalar Davoodi sono l’emblema della negazione dei diritti fondamentali e della durissima repressione messa in atto dal regime iraniano. La designazione è avvenuta su proposta della delegazione italiana al CCBE, che l’ha avanzata unitamente alle delegazioni francese e spagnola.

L’attribuzione di questa edizione del premio, istituito nel 2007, ai quattro avvocati iraniani, ha lo scopo di mantenere alta la pressione internazionale sul regime e di far sentire la vicinanza e la solidarietà dell’Avvocatura europea a tutti gli avvocati difensori dei diritti umani che sono perseguitati in Iran.

Il caso iraniano non è purtroppo isolato, come dimostra la cronaca. Ogni giorno si allunga la lista dei paesi dove si registrano gravi violazioni dei diritti umani e persecuzioni ai danni di coloro che si battono per il rispetto dei diritti delle minoranze e dell’ambiente, osando criticare, sia pure legittimamente, le politiche di governi che, anche quando non sono dittature conclamate, soffocano ogni forma di dissenso, come accade per esempio in Turchia. Gli avvocati che assumono la difesa di coloro che sono ritenuti oppositori politici, accusati strumentalmente, a vario titolo, di cospirazione contro lo Stato o di terrorismo, finiscono per essere a loro volta inquisiti ed arrestati, con l’accusa di concorrere con i reati dei loro clienti.

L’adozione di legislazioni di emergenza per garantire la sicurezza dei cittadini, le cui paure ed incertezze sono alimentate da linguaggi d’odio che diffondono l’intolleranza, sono lo strumento attraverso il quale, spesso, si introducono normative che comprimono i diritti delle persone e minano l’indipendenza delle istituzioni di garanzia e dei Giudici.

Il Consiglio Nazionale Forense, anche attraverso l’azione della delegazione italiana al CCBE, ha rafforzato la propria azione, con lo studio della situazione relativa ad alcuni Paesi dove si registrano le più gravi violazioni dei diritti umani, manifestando la solidarietà dell’Avvocatura italiana ai colleghi minacciati, non solo attraverso comunicati diffusi all’opinione pubblica attraverso i media ed i social e appelli indirizzati alle Autorità governative, ma anche con azioni positive, inviando osservatori internazionali ai processi a carico degli avvocati oppure partecipando a missioni all’interno delle carceri.

In questa ottica, nel 2016, il CNF ha anche fondato l’Osservatorio Internazionale degli Avvocati in pericolo ( OIAD) insieme al Consiglio Nazionale forense francese, all’Ordine degli Avvocati di Parigi ed al Consiglio Generale dell’Avvocatura spagnola ( il sito web può essere consultato anche il lingua italiana all’indirizzo www. protect- lawyers. com).

Tra i quattro avvocati iraniani ai quali viene attribuito il premio, il caso più noto è quello di Nasrin Sotoudeh, condannata il 30 dicembre 2018 alla durissima pena di 33 anni di prigione e 148 frustate, solo perché colpevole di aver difeso la libertà nel proprio paese e di essersi sempre impegnata per il rispetto dei diritti umani. Nasrin è conosciuta per aver difeso diverse donne arrestate per non avere indossato il velo “hijàb” in pubblico, obbligatorio dopo la rivoluzione del 1979 e, per la sua incessante attività, ha ricevuto il Premio Sakharov per la libertà di pensiero dal Parlamento europeo nel 2012.

Ha dedicato la sua prestigiosa carriera alla difesa delle donne e dei bambini vittime di violenze domestiche, di molti attivisti e giornalisti iraniani, così come di componenti di minoranze religiose. Le autorità iraniane hanno cercato in ogni modo di fermarla. Nel 2011 Sotoudeh era stata già condannata a undici anni di prigione per propaganda ed attentato alla sicurezza dello Stato. Era stata poi liberata nel settembre del 2013, con il divieto di lasciare l’Iran, per poi essere condannata di nuovo nel 2016, in contumacia, a 5 anni di prigione. Successivamente arrestata, il 13 giugno 2018, e portata presso la prigione di Evin, ha subito un altro processo, per reati contro la sicurezza nazionale, nel corso del quale Satoudeh ha rifiutato di nominare uno dei 20 avvocati inseriti in una lista, approvata dal Governo, unici abilitati a difendere gli accusati di crimini politici. Così facendo, infatti, il governo iraniano nega il diritto di scelta del difensore ed il diritto di difesa ai prigionieri politici iraniani. Il processo si è poi concluso con l’assurda e spropositata condanna a 33 anni perché, secondo l’art. 134 del Codice penale iraniano, in caso di condanna per più di 3 infrazioni il giudice può ulteriormente aumentare la pena, cui si aggiungono la precedente condanna a 5 anni e l’inaudita e feroce pena corporale delle 148 frustate, degna delle peggiori cronache medievali. Il suo coraggio e la sua determinazione hanno contribuito a far conoscere, attraverso la sua vicenda, la durissima repressione del dissenso in Iran.

GLI ATTIVISTI PREMIATI

Abdolfattah Soltani, condannato a 10 anni di carcere, cofondatore del Center for Human Rights Defenderse e detenuto dal 2011.

Mohammad Najafi, condannato a 17 anni di carcere e 74 frustate, attivo nella difesa dei prigionieri politici iraniani, accusato di gravi reati contro lo Stato anche perché colpevole di aver denunciato all’opinione pubblica l’uccisione nelle carceri di alcuni oppositori del regime, arrestati al termine di una manifestazione il 31 dicembre del 2017.

Amir Salar Davoodi, condannato a 30 anni di carcere, 111 frustate e una multa di circa 4 mila dollari, sono gli altri vincitori del premio, vittime della durissima repressione attuata dal regime degli ayatollah.