La giornata politica di ieri è sintetizzabile in una sola battuta di Nicola Zingaretti: «Conte sta facendo un lavoro enorme per trovare una sintesi, dobbiamo aiutarlo». Come a dire: non tiriamo la corda, perchè rischia di spezzarsi. «Adesso l’importante è dimostrare, e questo governo migliora la vita degli italiani. Penso e spero che su questo tutti saranno d’accordo», ha concluso il segretario dem. Parole pacate, quelle di Zingaretti, che entra col solito garbo nel dibattito politico ma mette i paletti delle priorità, pur rispettando «le difficoltà» del Movimento 5 Stelle.

Proprio le battute dei 5 Stelle nel corso del week end non sono piaciute al Pd: anzitutto la richiesta di sottoscrivere a gennaio un nuovo «contratto di governo», rispetto al quale i dem non hanno dimostrato chiusura totale dal punto di vista pratico, ma poco hanno gradito una scelta lessicale che sembra riportare indietro le lancette al governo gialloverde.

Se la posizione del lato sinistro del governo è chiara ( lavoro pancia a terra in Emilia Romagna e alta attenzione perchè il governo inizi a produrre risultati, «altrimenti meglio staccare la spina», come vanno ripetendo tutti al Nazareno), meno netta è la direzione del Movimento, che oggi vive una fase di dolorosa fibrillazione, dopo il referendum che ha stabilito la partecipazione alle regionali e la sortita romana di Beppe Grillo per strigliare il capo politico Luigi Di Maio, sempre più in apnea.

Sul fronte nazionale, il tentativo di rilanciarsi con un contratto di governo, come chiesto da Grillo, potrebbe essere un boomerang: i temi caldi rispetto ai quali la distanza tra alleati è ancora ampia sono molti, dalla prescrizione ( dove i dem potrebbero decidere di fare asse con Forza Italia pur di sospenderne l’abolizione) allo ius soli e lo ius culturae ( voluta anche da Italia Viva) e un nuovo patto di governo passerebbe in modo imprescindibile da una quadra su queste questioni.

Eppure, in Parlamento i drappelli dei due rispettivi partiti hanno iniziato a parlarsi per mettere a punto le cornici di un accordo, con l’obiettivo poi di coinvolgere anche gli altri azionisti della maggioranza di governo come Italia. La parola utilizzata è quella di «tagliando al programma di governo» e i due gruppi con tutta probabilità discuteranno anche di nuovi temi da mettere in agenda, - si parla di salario minimo, legge sul conflitto di interessi, l’acqua come bene pubblico nell’ottica di «dare un orizzonte ampio al Conte II», dicono in Transatlantico.

«Pensiamo di mettere a punto un vero e proprio crono programma e di scendere in profondità con i provvedimenti su cui il Movimento punta da tempo», spiega un parlamentare grillino. Eppure, creare un fronte comune ( che ancora non c’è su molte questioni) il termine del voto il 4 dicembre e di fatto chiude all’ipotesi di ripiegare sul sostegno a Bonaccini. Eppure, non tutti nel Movimento hanno gettato la spugna. La consigliera regionale del Lazio, Roberta Lombardi, da tempo tessitrice del rapporto col Pd, ha chiesto di ripensare la posizione sulle alleanze regionali: «Chiediamolo ai cittadini delle rispettive regioni, magari in modo un po’ più diretto».

Lombardi, infatti, ha osservato: «In dieci anni il Movimento è cambiato ed è davanti ad una scelta fondamentale: bisogna capire cosa si vuole fare da grandi». Ovvero, se ritornare sui propri passi dicendo che «destra e sinistra sono tutte uguali», oppure «dire che siamo in un paese proporzionalista e che se vogliamo governare ci dobbiamo alleare con qualcuno».

Inutile ribadire quale linea preferisca la consigliera. Per ora, tuttavia, i grillini passeggiano su un crinale pericoloso: in caso di sconfitta in Emilia, il governo rischierebbe seriamente di cadere. Ma forse, proprio questa è la strada che Di Maio segretamente preferirebbe, se si rendesse conto che l’Esecutivo ha il fiato troppo corto.