Il risultato del voto sulla piattaforma Rousseau disarciona Luigi Di Maio, ma rischia di fare lo sgambetto anche al Pd.

L’assunto di partenza è sempre lo stesso: il futuro del governo passa per la via Emilia. Ormai tra i dem l’assunto è chiaro, per quanto lo stesso Di Maio ( ormai all’angolo) continui a ripetere il contrario: se in Emilia Romagna si perde, cedendo la regione alla Lega, sarà il requiem anche del Conte bis e, con tutta probabilità, anche della segreteria Zingaretti. Prima della notitia horribilis, aleggiava un prudente ottimismo: i 5 Stelle verranno portati da Di Maio alla desistenza; Stefano Bonaccini è avanti nei sondaggi e, se le liti di governo non “nazionalizzano” la campagna elettorale, ci sono buone possibilità di vittoria. Tutto spazzato via da quel 70% sulla piattaforma online, che sconquassa gli orizzonti: secondo i sondaggi, il Movimento 5 Stelle, pur anemico, in Emilia vale nella migliore delle ipotesi il 6%. Più o meno la distanza che separa Bonaccini dalla leghista Lucia Borgonzoni. Non a caso il commento a caldo del candidato Pd è stato lapidario: «Così si fa un regalo alla destra». Tradotto: se Bonaccini perderà per una percentuale speculare a quella raggranellata dai 5 Stelle, a far franare la terra sotto i piedi del governo sarà proprio il suo maggior azionista.

Ora che le strategie vanno ricalibrate, sul fronte nazionale i dem puntano tutto sulla fronda filo- Pd dentro il Movimento, a partire dal padre nobile Beppe Grillo, principale sostenitore dell’accordo giallorosso, che ieri è volato a Roma per provare a tamponare la crisi.

In Emilia, invece, Bonaccini continua a lavorare sottotraccia ad un avvicinamento con i consiglieri regionali 5 Stelle, con l’obiettivo di indurli a chiedere un ulteriore referendum tra gli iscritti «per decidere se allearsi o meno». L’ipotesi sembrerebbe essere già stata scartata da Di Maio, ma la situazione è magmatica e cambia di ora in ora, soprattutto perchè lo stesso Grillo potrebbe tornare con uno dei suoi proverbiali colpi di teatro.

A dare una lettura della situazione, infine, è intervenuto il segretario Nicola Zingaretti: «Il processo politico italiano va verso una netta bipolarizzazione» tra «campo democratico civico e progressista, di cui il Pd è il principale pilastro, e la nuova destra sovranista». E proprio questo nuovo bipolarismo, secondo il segretario, sta mettendo in crisi i 5 Stelle «di cui rispettiamo il travaglio e le difficoltà». L’unico esito possibile, sembra voler sottintendere Zingaretti, è che i 5 Stelle finalmente facciano una scelta di campo.

Proprio questa è la strategia concordata dal duo Zingaretti- Bonaccini: puntare tutto sulla narrativa della polarizzazione del «noi o la Lega», facendo leva anche sul clamoroso successo del movimento di piazza delle Sardine. I ranghi intorno al candidato si stanno stringendo e ognuno sta facendo la sua parte: Ettore Rosato di Italia Viva ha confermato che il nuovo partito di Renzi ci sarà con una lista civica; Carlo Calenda ha confermato la stima per Bonaccini e l’intento di dargli una mano in una regione che è stata centrale nella sua campagna elettorale alle Europee; i sindacati territoriali hanno espresso in modo compatto il giudizio positivo sull’amministrazione regionale uscente.

«Mancano solo i 5 Stelle, scelgano dove stare altrimenti scompariranno», si ripete al Nazareno. Anche perchè i dem puntano a declinare la logica del bipolarismo anche nella modifica della attuale legge elettorale: se con un sistema proporzionale i 5 Stelle «rimangono l’ago della bilancia», come va ripetendo Di Maio, con un maggioritario rischierebbero l’irrilevanza. E non è un caso, allora, che Zingaretti proprio ieri abbia ribadito la vocazione maggioritaria del Pd e l’intento di «non far cadere la proposta di Giorgetti di un tavolo di confronto» per riformare in tempi rapidi la legge elettorale «con impianto maggioritario». Come dire: cari 5 Stelle, scegliete da che parte stare.