Bisogna ammetterlo: i grillini non sono più i manettari di un tempo. Certo, continuano a invocare giustizia, galera e pene esemplari. Ma da tempo ormai non lo fanno più con la stessa passione, lo stesso trasporto. E saremmo maliziosi e capziosi se facessimo notare che questo disamoramento per la gattabuia abbia coinciso con i guai giudiziari che in questi ultimi anni hanno colpito sindaci e consiglieri del Movimento.

Fatto sta che da qualche tempo i grillini hanno iniziato a scoprire lo strano e complicato mondo delle garanzie e dei diritti. Altrimenti non si spiegherebbe la compostezza con cui i consiglieri 5Stelle romani hanno accolto il “redivivo” Marcello De Vito. Primo candidato sindaco di Roma e consigliere più votato dai romani, nel Movimento De Vito non è uno qualsiasi. E ieri, dopo otto mesi passati in galera e tre ai domiciliari - il tutto senza lo straccio di una sentenza, neanche di primo grado - De Vito è tornato sullo scranno di presidente del Consiglio comunale citando nientemeno che Enzo Tortora, il simbolo più potente dell’accanimento giudiziario: “Dove eravamo rimasti?”.

Una preghiera laica che grillini e non dovrebbero ripetere ogni mattina, magari dopo aver dato una ripassatina ai drammatici dati sulle ingiuste detenzioni: dal 1992 a oggi, sono oltre 26mila, quasi 1000 all’anno, gli individui che hanno subito una illegittima detenzione prima di essere definitivamente assolti con sentenza passata in giudicato. E ricordare, come ha ricordato qualche giorno fa la presidente del Senato Elisabetta Casellati, che dietro ogni singolo caso di errore giudiziario o di ingiusta detenzione vi è un dramma umano. «Vi sono donne e uomini illegittimamente privati della propria libertà, della propria dignità; la cui vita affettiva, sociale e lavorativa è stata fortemente pregiudicata». Tutto questo per non dover più dire: “Dove eravamo rimasti…”.