Le vicende dell’Ilva di Taranto dal 2012 ad oggi sono emblematiche di come i pubblici poteri affrontino la crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale, poiché questa è la classificazione di tali impianti siderurgici secondo gli artt. 1 e 3 del D. L. n. 207/ 12.

È noto che la crisi dell’Ilva è stata avviata con il sequestro penale senza facoltà di uso disposto il 26 luglio 2012 dal Gip di Taranto: ma nonostante la gravità delle misure cautelari, anche personali, disposte dalla locale Autorità Giudiziaria non è ancora intervenuto alcun giudicato penale nemmeno di primo grado. Allo stesso tempo, la pericolosità della situazione sotto il profilo dell’inquinamento diffuso dovuto a tale impianto produttivo è confermata dalla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 24 gennaio 2019, resa su ricorsi diretti proposti da cittadini di Taranto e comuni limitrofi nel 2013 e nel 2015. La Corte ha condannato lo Stato italiano non solo al risarcimento dei danni ( nella misura simbolica di 5000 € a ricorrente), ma anche ad agire con i mezzi previsti dall’ordinamento interno in quanto “il piano ambientale approvato dalle autorità nazionali e recante l’indicazione delle misure e delle azioni necessarie ad assicurare la protezione ambientale e sanitaria della popolazione, dovrà essere messo in esecuzione nel più breve tempo possibile”.

Ed infatti lo Stato, seppure con ritardo, ha agito con una e vera e propria congerie di atti legislativi e amministrativi che, dopo due significative sentenze della Corte Costituzionale, la n. 85 del 2013 e la n. 58 del 2018, le quali rappresentano dei veri e propri lit de justice nei confronti dell’autorità giudiziaria penale e del Parlamento, sembravano avere trovato una stabilizzazione, in una situazione nella quale i citati provvedimenti cautelari dell’autorità giudiziaria avevano determinato una irreversibile crisi finanziaria e produttiva di Ilva ed il suo conseguente commissariamento, disposto sino dal 2013.

La prima di tali sentenze è particolarmente importante perché, avendo sollevato il Gip di Taranto molteplici questioni di costituzionalità del D. L. n. 207/ 12 che operava una sorta di dissequestro ex lege consentendo l’uso degli impianti, lo riconobbe pienamente legittimo. Ciò poiché «la ratio della disciplina censurata consiste nella realizzazione di un ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, in particolare alla salute ( art. 32 Cost.), da cui deriva il diritto all’ambiente salubre, e al lavoro ( art. 4 Cost.), da cui deriva l’interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali ed il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso». Dunque è proprio da tale sentenza e dai principi da essa affermati, che è stato indirizzata la successiva legislazione sull’Ilva. Tuttavia ma con la maggioranza gialloverde questa tendenza è venuta meno e le cose non sono cambiate sostituendosi il rosso al verde.

Da ciò le agitate vicende di questi giorni, che infatti nascono da lontano e cioè dal D. L. n. 1/ 15, il quale dichiarò «di pubblica utilità» l’attività di gestione commissariale dell’Ilva eseguita nel rispetto delle prescrizioni del piano di risanamento comprensivo dell’autorizzazione integrata ambientale previsto dall’art. 1 del D. L. n. 61/ 13 e approvato col D. P. C. M. del 14 marzo 2014. Conseguentemente prevedendosi che «le condotte poste in essere in attuazione del Piano di cui al periodo precedente non possono dare luogo a responsabilità penale o amministrativa del commissario straordinario e dei soggetti da questo funzionalmente delegati, in quanto costituiscono adempimento delle migliori regole in materia ambientale, di tutela della saluta dell’incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro».

Questa è dunque la nascita dello “Scudo penale”, strettamente collegato all’attuazione del piano che per essere stato approvato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, previa delibera di tale organo collegiale si caratterizza per essere un atto di alta amministrazione, perché proveniente dall’organo al vertice del governo della Repubblica nell’esercizio di una funzione amministrativa attribuitagli per legge. Nel frattempo, in esecuzione dell’art. 1 del D. L. n. 191/ 15, è stata svolta dai Commissari del Gruppo Ilva la gara internazionale a seguito della quale Arcelor Mittal si è aggiudicata il gruppo. Con il D. P. C. M. 29 settembre 2017 su proposta dell’aggiudicatario è stato approvato il nuovo piano di risanamento ambientale, il cui termine per l’esecuzione degli interventi è stato fissato al 23 settembre 2023 secondo il D. L. n. 244/ 16 e cioè corrispondente a quello dell’autorizzazione integrata ambientale in corso di validità.

In altre parole, lo “Scudo penale” introdotto nel 2015 con modificazioni non significative sino a quelle intervenute nell’aprile 2019 avrebbe protratto i suoi effetti sino al 2023 e questa situazione giuridica è stata presupposta ed espressamente contemplata dal contratto di affitto del Gruppo Ilva ad Arcelor Mittal, prevedendosi la possibilità per l’affittuario di recedere dal contratto ove provvedimenti legislativi amministrativi o giurisdizionali sopravvenuti comportassero modifiche o rendessero impossibile in senso economico- giuridico l’attuazione di tale piano di risanamento.

Che queste clausole contrattuali fossero da un lato perfettamente ragionevoli e dall’altro lato profetiche, in un contesto nel quale l’affittuario si apprestava ad investire oltre 4 miliardi di euro nell’impresa, data la presenza del governo giallo verde e l’ordinanza del GIP di Taranto che nel 2019 aveva rimesso alla Corte Costituzionale proprio la questione di costituzionalità della normativa del 2015 sullo “Scudo penale”, costituisce una conclusione che nessun giurista potrebbe contestare, anche tenuto conto che si trattava del più importante investimento estero nel nostro paese. E che i consulenti legali di Arcelor Mittal non avessero torto ad aver negoziato con i commissari di Ilva una clausola del genere lo hanno dimostrato proprio le vicende di questi giorni. Infatti questo scenario è radicalmente mutato con un vero e proprio crescendo di atti legislativi a partire dall’art. 46 D. L. n. 34/ 19, successivamente modificato con la legge di conversione n. 57/ 19, seguito dall’art. 14 del D. L. n. 101/ 19 convertito con modificazioni in legge n. 128/ 19.

In altre parole, la disposizione del 2015 sullo Scudo penale è cambiata almeno 4 volte negli ultimi mesi e l’attuale contenuto normativo di essa è stato puntualmente ricostruito nell’ordinanza n. 230 del 18 novembre 2019, con la quale la Corte Costituzionale ha rinviato al giudice a quo e cioè al Gip di Taranto l’esame della perdurante rilevanza e fondatezza della questione di costituzionalità che ta- le organo giurisdizionale aveva sollevato con riferimento allo “Scudo penale” del 2015, che ormai non c’è più nella versione richiamata dal contratto di affitto sottoscritto da Arcelor Mittal.

Infatti, come ricorda la Corte Costituzionale, a seguito di tali recentissimi interventi legislativi, l’osservanza delle prescrizioni del piano ambientale del 2017 equivale all’adozione ed efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione ai fini della valutazione delle sole «condotte strettamente connesse all’attuazione dell’A. I. A. ( autorizzazione integrata ambientale)», di modo che solo per queste - e non anche per quelle collegate alle altre norme di tutela dell’ambiente - opera l’esonero da responsabilità amministrativa dell’ente derivante da reato ex art. 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231”. Inoltre «modulando l’esimente da responsabilità penale e amministrativa per l’acquirente o l’affittuario e per i soggetti da questi funzionalmente delegati, secondo quanto stabilito nel piano ambientale per ciascuna prescrizione ovvero secondo i termini più brevi che l’affittuario o l’acquirente si siano impegnati a rispettare nei confronti della gestione commissariale Ilva, e confermando il termine del 6 settembre 2019 per l’operatività dell’esimente relativamente alle condotte poste in essere dai soli commissari straordinari. In quarto luogo, specificando esplicitamente che resta ferma in ogni caso la responsabilità in sede penale, civile e amministrativa eventualmente derivante dalla violazione di norme poste a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori» ”.

Dunque, dalle parole della Corte Costituzionale anche un interprete privo di competenza giuridica specialistica comprende che per una consapevole scelta compiuta nei mesi scorsi dal Parlamento dal 6 settembre scorso non opera più nessuno “scudo” nei confronti dell’affittuario. Ciò quindi ha impedito alla Corte Costituzionale di pronunciarsi sulla costituzionalità dello scudo penale introdotto con il D. L. n. 1/ 15 e probabilmente glielo impedirà anche in futuro poiché «tutte queste vicende normative sopravvenute potrebbero condizionare l’applicabilità delle norme censurate nel procedimento a quo sulla base dei principi in materia di applicazione della legge penale nel tempo, anche in relazione all’affermazione del carattere permanente di taluni reati ipotizzati a carico delle persone sottoposte a indagine contenuta nell’ordinanza di rimessione».

Ma lo Scudo penale era costituzionalmente legittimo? Probabilmente la Corte non potrà esprimersi in proposito, ma chi scrive ritiene di sì proprio per quel bilanciamento tra diritti fondamentali effettuato in materia dalla stessa Corte nella sentenza del 2013. Ciò poiché l’operatività dello scudo presupponeva l’osservanza e l’attuazione del Piano di risanamento ambientale approvato dal Consiglio dei Ministri in una situazione ove «la continuità del funzionamento produttivo dello stabilimento siderurgico Ilva S. p. A. costituisce una priorità strategica di interesse nazionale, in considerazione dei prevalenti profili di protezione dell’ambiente e della salute, di ordine pubblico, di salvaguardia dei livelli occupazionali» ”, come si legge nel preambolo del D. L. n. 207/ 12, convertito in l. n. 231 del 2012.

Dunque, quella dello scudo è stata una scelta effettuata dal Governo e dal Parlamento nel 2015, volta a garantire tale risanamento e una più efficace attuazione del piano proprio per consentire allo stesso tempo la continuazione dell’attività produttiva dell’Ilva senza che l’autorità giurisdizionale penale potesse interferirvi invadendo il campo riservato all’attività di alta amministrazione compiuta dal governo. In realtà, piano di risanamento e relativo scudo simul stabunt e simul cadent e quest’ultimo impediva la disapplicazione del piano da parte della giurisdizione penale.

Questa quindi non è un’anomalia o una disposizione favorevole che crea una situazione di irragionevole disparità di trattamento a favore dei commissari Ilva e di Arcelor Mittal, bensì una scelta discrezionale compiuta dal legislatore nel tentativo - purtroppo in corso di vanificazione - di salvare l’attività produttiva collegandola all’efficace risanamento ambientale in una situazione di diritto singolare dovuta all’importanza strategica dell’industria siderurgica nazionale. Del resto nel nostro ordinamento giuridico vi sono casi nei quali il rilascio di un provvedimento amministrativo favorevole, alle rigorose condizioni legislativamente previste, determinerà il venir meno dell’antigiuridicità penale della condotta.

Basti pensare al permesso di costruire ed all’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, cosicchè non siamo certamente in presenza di un unicum nel caso dello scudo penale per l’ILVA. Dovremmo piuttosto domandarci se la legislazione che ha fatto venire meno lo scudo penale sia costituzionalmente legittima, anche se questo rischia persino di essere privo di rilevanza pratica, in quanto l’esistenza dello “Scudo penale” come era legislativamente vigente al momento del contratto di affitto dell’Ilva ad Arcelor Mittal è stata dedotta come condizione il cui venir meno avrebbe giustificato il recesso dell’affittuario, come poi è avvenuto. Dunque il vero dividendo di credibilità nei confronti degli investitori esteri è rappresentato dal rispetto di tali “vincoli”, di cui nelle recenti vicende dell’Ilva non c’è traccia.