La riforma del Mes, così come concepita, potrebbe «accelerare alcune crisi».  Parola di Carlo Cottarelli, direttore dell'Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell'Università Cattolica di Milano.

Professore, cominciamo dalle basi: cos'è il Mes?

È il fondo salva Stati, cioè il fondo che aiuta i Paesi in difficoltà, come poteva essere la Grecia in passato, il Portogallo, la Spagna e la stessa Italia, che nel 2011 è stata vicina a chiedere il sostegno finanziario del Fondo monetario internazionale. Questo è un Fondo europeo.

Cosa prevede la riforma di cui si parla in queste ore?

In realtà non è una riforma così invasiva. Poteva esserlo all'inizio, quando c'erano ancora sul tavolo delle proposte molto più pesanti come quella di obbligare uno Stato a ristrutturare il proprio debito per accedere agli aiuti del Mes. Questo automatismo per fortuna è caduto anche grazie alla forte opposizione dell'Italia. Però alcune cose importanti sono state comunque modificate, a partire da chi deve giudicare l'opportunità o no di ristrutturare il debito di un Paese.

E chi dovrà esprimersi sulla sostenibilità del debito?

Il Mes stesso, un organismo tecnico percepito come un po' più cattivo perché, come sta scritto sul Trattato, presterebbe maggiore attenzione al punto di vista dei creditori ( gli altri paesi europei che forniscono le risorse per il Fondo), invece di guardare agli interessi generali dell'Unione o dell'area Euro. Ed è proprio questo aspetto che fa presumere una maggiore propensione a chiedere la ristrutturazione del debito. È un segnale ai Paesi più in difficoltà.

Ma una ristrutturazione del debito potrebbe paradossalmente scongiurare politiche di austerità?

Supponiamo che il debito sia il 135 per cento del Pil, come nel caso italiano, e lo si vuole ridurre al 70 o all' 80 per cento per non esporre il Paese a una crisi. Ci sono due possibilità: non pagare i creditori ( ristrutturazione del debito) o aumentare le tasse e tagliare la spesa. In questo secondo caso il bilancio migliorerebbe, magari raggiungendo un surplus, ma si porterebbero avanti politiche di austerità, nel primo caso no. La mia obiezione a questo ragionamento è che in un Paese come l'Italia, in cui il 70 per cento del debito è detenuto dagli italiani stessi e dunque anche una ristrutturazione comporterebbe una politica di austerità. Perché se hai prestato 100 allo Stato e lo Stato ti ridà 50 significa che ti sta tassando per la metà del prestito. Secondo me certe volte è questa la strada migliore da seguire, ma si sta facendo una riforma che farebbe pensare che questa cosa diventi troppo facile. O almeno il dubbio viene.

Quindi è un problema solo italiano, viste le dimensioni e le caratteristiche del nostro debito?

In queste dimensioni sì. Il debito greco, per esempio era detenuto dai greci solo per un quarto. Di certo non c'è nessun Paese con un debito così alto, per questo ce ne preoccupiamo.

Lei dice che questa riforma paradossalmente potrebbe provocare crisi peggiori. Perché?

Non dico provocare ma almeno accelerare alcune crisi sì. Pensiamo a uno scenario in cui per qualche motivo lo spread comincia a crescere e i mercati cominciano a innervosirsi. Teoricamente i creditori dovrebbero essere tranquillizzati dall'intervento del Mes che copre l’esposizione. Ma se il Mes, che dovrebbe essere il pompiere, ti chiede di ristrutturare il debito come condizione per darti i soldi, gli investitori scappano. Il rischio è che anche una piccola crisi potrebbe comportare la ristrutturazione del debito, che non è una cosa semplice né piacevole: fa perdere credibilità al Paese e rappresenta una tassa ai residenti. Per questo in passato abbiamo evitato ristrutturazioni. Sarebbe meglio se riuscissimo a far cambiare un po' di paroline in questo Trattato. Ma il governo precedente aveva già dato l'ok a questa riforma in primavera.

Quali sarebbero le “paroline” da modificare?

La parte riguardante il soggetto che dovrà giudicare la sostenibilità del debito e quindi l'eventuale necessità di una ristrutturazione.

Come giustifica le proteste di Movimento 5 Stelle e Lega, insieme al governo all'epoca dell'ultimo incontro europeo sulla riforma?

Non so se siano proteste immotivate, di certo erano lì quando si discuteva della riforma. Forse non se ne sono accorti o dormivano. Ma non ci si può trincerare dietro al “Tria non ce l'ha detto”, perché queste non sono mica negoziazioni segrete, sono cose pubbliche che avevano il dovere di seguire all'epoca. Invece si svegliano adesso, quando è tutto più difficile.

La riforma del Mes dovrebbe essere firmata a dicembre. Non ci sono più margini di manovra?

Volendo i margini ci sono, ma è molto più complesso riuscire a operare delle modifiche perché è già stato dato un assenso politico alla riforma. Il Consiglio europeo ha dato l'ok ai ministri delle Finanze a finalizzare i dettagli della proposta già incardinata. Dunque, tecnicamente è ancora possibile operare delle modifiche, politicamente è molto più complicato.

Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ripete che ancora nulla è deciso, che l'ultima parola spetta comunque al Parlamento. Ma davvero Camera e Senato hanno il potere di bloccare il Trattato?

Certo, il Trattato deve essere ratificato dai singoli Paesi. Ma non siamo davanti a un potere di veto. In teoria gli altri Paesi potrebbero decidere di andare avanti senza di noi. Ma sarebbe piuttosto strano, perché così l'Italia non avrebbe accesso al Mes e sarebbe come spararsi su un piede. È come se uno che si sente poco bene chiedesse l'abolizione dell'ambulanza.