Bene ha fatto il segretario del PD Nicola Zingaretti a rilanciare il tema della cittadinanza degli immigrati, proponendolo come una delle esigenze di fondo dell’agenda di governo. In effetti il tema dovrebbe rientrare permanentemente tra gli obiettivi di interesse nazionale, al di là delle preoccupazioni elettorali di questo o quel partito o delle cautele di questo o quel governo, al di là di eventuali emergenze quali il caso ILVA e i purtroppo sempre più frequenti disastri ambientali. La concessione della cittadinanza italiana – e qui penso soprattutto ai giovani immigrati - costituisce infatti nello stesso tempo una premessa e la base di partenza di un loro corretto e positivo inserimento nel tessuto sociale, economico e culturale del paese.

E’ presumibile che un figlio di immigrati nato in Italia, che ha frequentato scuola materna, scuola elementare e scuola media, ovvero, pur non essendo nato in Italia, ha conseguito il titolo della scuola media prima dei 18 anni, scriva e parli correttamente la nostra lingua, conosca la nostra storia e cultura come dovrebbero conoscerla i suoi coetanei italiani. Ebbene, questo giovane ha tutti i diritti di vedersi riconosciuta subito la cittadinanza italiana, a prescindere dal paese di provenienza e dal colore della pelle. In queste situazioni jus soli e jus culturae convergono entrambi nel sostenere il diritto alla cittadinanza.

Sul terreno culturale e sociale quel giovane ha acquisito la medesima posizione di chi è per nascita cittadino italiano. Negargli il diritto alla cittadinanza anche prima dei 18 anni sarebbe contrario al principio di eguaglianza, solennemente sancito dall’art. 3 della Costituzione senza distinzione di lingua, razza o religione. Ha cioè le medesime possibilità di essere da adulto un buon cittadino di chi è nato cittadino italiano, anzi le possibilità sono forse maggiori perché presumibilmente proviene da contesti sociali e economici talmente disastrati da indurlo a mantenere e difendere la posizione di cittadino in un paese certamente più avanzato di quello di provenienza.

Sulla base di queste premesse mi sembra che il tema del riconoscimento della cittadinanza italiana ai giovani immigrati, lungi dall’essere divisivo, dovrebbe incontrare una larga convergenza tra tutte le forze politiche. Certo, il tema solleva problemi demografici, economici, sociali, ed anche identitari, di grande rilievo e complessità, che rendono assai delicato il passaggio dal principio di fondo dell’accoglienza ad una disciplina legislativa che dovrà essere molto precisa e analitica nel definire i requisiti dello jus culturae, ed anche nel promuovere condizioni tali da garantire l’accesso ai vari livelli di istruzione. Muovendosi in questa direzione il problema della durata del soggiorno in Italia necessario ai fini della cittadinanza rimarrebbe assorbito dal titolo di studio, o comunque dalla frequenza scolastica per una durata pari agli anni necessari al conseguimento del titolo.

Come si vede, la traduzione del principio dello jus culturae in una concreta disciplina legislativa comporterà la soluzione di numerosi e delicati problemi. La via migliore per agevolare il lavoro parlamentare potrebbe essere quella di affidare il compito di predisporre una bozza della nuova legge sulla cittadinanza ad una commissione mista di Camera e Senato, che potrebbe a sua volta avvalersi del bagaglio di conoscenza e di esperienza, anche comparata, di operatori sociali e di studiosi con specifiche competenze e professionalità in materia.

Alla base di questo programma stanno evidentemente la convinzione condivisa e la scelta politica di fondo che i flussi migratori possono contribuire positivamente allo sviluppo economico, sociale, culturale ed anche morale del nostro Paese, contrastando le derive razziste che inevitabilmente si accompagnano a chi pensa di risolvere il problema della grandi migrazioni chiudendo i confini e respingendo lo straniero e il diverso.